Il genio di Leonardo da Vinci in tre disegni. La mostra a Milano

Due importanti disegni di Leonardo e un suo ritratto firmato dall’allievo Francesco Melzi sono in mostra al Leonardo3 grazie a un prestito della Biblioteca Ambrosiana

Incastonato come un gioiello tra la Galleria Vittorio Emanuele II e Piazza della Scala, proprio di fronte alla statua di Leonardo, scolpita da Pietro Magni nel 1872 – effigie del Maestro circondato dai suoi quattro allievi prediletti, Giovanni Antonio Boltraffio, Marco d’Oggiono, Cesare da Sesto e Gian Giacomo Caprotti (detto il Salaì, il “diavolo”) – si trova il Museo Leonardo3. Qui, in un ambito che sfida l’idea tradizionale del museo come spazio sacro e inviolabile, si celebra una delle menti più inquietamente prolifiche che mai abbiano calcato la scena del nostro pianeta: Leonardo da Vinci.

Leonardo3 a Milano: più di un museo

Leonardo3 non è un semplice contenitore d’arte, bensì un laboratorio di conoscenza esperienziale, incarnazione di una museologia interattiva e didattica, tanto cara ai visitatori stranieri, da tempo avvezzi a modelli espositivi più evoluti del classico “guardare e non toccare” che spesso affligge le istituzioni italiane. Inaugurato appena undici anni or sono, questo spazio di dimensioni ridotte, ma intellettualmente densissimo, si emancipa dall’idea d’opera d’arte come oggetto venerabile, “semioforo”, per usare il termine del grande storico Krzysztof Pomian. Qui l’arte e la scienza si fondono in un approccio che rifiuta la sacralità di maniera, proponendo invece un orizzonte cognitivo: il museo come biblioteca, laboratorio, officina del sapere. A differenza della monumentalità del Cenacolo leonardesco alle Grazie – meraviglia assoluta che tuttavia non lascia spiragli per un approccio conoscitivo dinamico – Leonardo3 ribadisce il principio che il patrimonio, se non divulgato con un linguaggio affine alla sensibilità contemporanea, rimane muto, privo di eco nel pensiero collettivo. Si pensi, ad esempio, al divertimento educativo di chi, all’interno di Leonardo3, costruisce un ponte autosostenuto servendosi di semplici blocchi di legno. Tale esperienza, coinvolgente e formativa, richiama alla mente l’Exploratorium di San Francisco del grande Frank Oppenheimer (fratello del più noto J. Robert, immortalato di recente dal capolavoro cinematografico di Nolan): lì, come qui, si esce più consapevoli, arricchiti da una comprensione concreta di ciò che l’ingegno e la curiosità possono creare quando le menti non temono il nuovo.

Installation view at Leonardo3, Milano, 2024
Installation view at Leonardo3, Milano, 2024

I disegni in mostra al museo Leonardo3

La quasi soverchiante presenza di turisti stranieri, grazie ad un approccio così diverso, è la conseguenza più logica. Non desta sorpresa che un’istituzione museale di tale levatura possa contare sull’appoggio di Martin Kemp, autorevolissimo studioso leonardiano, professore emerito a Oxford e figura umanamente squisita. La sua collaborazione (e il patrocinio della Nuova Fondazione Rossana & Carlo Pedretti) ha permesso a salto di qualità ulteriore, accrescendo il prestigio di un museo già all’avanguardia. Nella Sala del Cenacolo, sotto una ricostruzione in scala dell’Ultima Cena, troviamo tre magnifici disegni prestati dalla Biblioteca Ambrosiana, opere che svelano nuove prospettive sull’universo leonardesco.

 Il cavallo

Il primo disegno (F 263 inf. 91, datato al 1490) ritrae un cavallo di straordinaria potenza espressiva. La tensione dei muscoli, la nobiltà del portamento e la plasticità del volto animale ricordano gli studi per il monumento equestre dedicato a Francesco Sforza, mai realizzato, ma anticipato da un modello in creta un tempo visibile nel cortile di Palazzo Ducale (oggi Palazzo Reale). In questi tratti si coglie la mano del Leonardo anatomista e scultore, impegnato a esprimere la saettante vitalità delle membra equine in ogni linea e in ogni ombra.

Il mazzocchio

La seconda opera (Codice Atlantico f. 710 a-b recto, circa 1510) cattura l’immaginazione come un enigma ipnotico. Vi è raffigurato un “mazzocchio”, corpo geometrico assimilabile a un toro, non nella sua accezione animale, ma in quella squisitamente matematica: una ciambella topologica dotata di foro centrale. È un oggetto che anticipa, per virtù intuitiva, i moderni concetti di simmetria. Dal nostro sguardo odierno, consapevole delle elaborazioni teoriche sviluppate tra Ottocento e Novecento da giganti quali Abel, Lie e la grande matematica Emmy Noether, possiamo definire il mazzocchio come un’entità geometrica caratterizzata da un gruppo di simmetria U(1), essenzialmente un cerchio continuo che ruota attorno ad un asse centrale, un richiamo a strutture topologiche e ai gruppi di Lie che Leonardo non poteva conoscere, ma che già intuiva con una forza visionaria. Rispetto ai solidi platonici raffigurati per il De divina proportione di Luca Pacioli – suo amico e sodale negli anni Novanta del Quattrocento – quest’opera segna un balzo in avanti colossale, uno slancio oltre la pura figurazione ideale, verso una matematica qualitativa, intuitiva, quasi anticipatrice di paradigmi futuri. Risulta curiosa la sincronia tra la prima edizione del De divina proportione di Luca Pacioli (1509) e questo disegno (1510 circa).

Il ritratto di Leonardo

La terza opera (F. 263 inf. 1 bis, 1515-1518), pur non essendo di mano di Leonardo ma del suo allievo prediletto, Francesco Melzi, ci offre uno scorcio sull’anima stessa del Maestro. È un ritratto di profilo verso sinistra, affine a un altro conservato a Windsor, eppure delicatamente diverso, forse più intimo, meno “fissato” nel ruolo del Maestro anziano che l’immaginario popolare ci ha consegnato. Se l’iconografia più nota, quella custodita alla Biblioteca Reale di Torino, ci mostra un Leonardo dal volto segnato dal tempo, quella di Melzi sembra voler restituire un uomo ancora intriso di vita, con i boccoli della barba che paiono rivoli d’acqua, un’intuizione in perfetta armonia con l’ossessione leonardiana per il moto dei liquidi. La pietra rossa cattura sfumature che evocano tenerezza e ammirazione filiale, un contrappunto alla distanza formale del ritratto più celebre. Qui, il Leonardo sessantaseienne pare emergere in una dimensione privata, come se il Melzi, più figlio spirituale che allievo, avesse saputo cogliere la luce velata di malinconia negli occhi del suo Maestro.

La grande ricchezza del Museo Leonardo3

Colpisce il fatto che Milano non celebri con sufficiente orgoglio un’istituzione come Leonardo3, così vicina alla sensibilità museologica contemporanea. D’altra parte, Platone, nel mito della caverna, ci mette in guardia dagli sguardi innovatori destinati a essere accolti con diffidenza da chi vive all’ombra di schemi consolidati. Leonardo3, invece, rompe l’incantesimo del “museo-tempio”, convertendolo in una fucina di idee, un centro d’indagine e disseminazione, un luogo dove la conoscenza non è imbalsamata, ma viva, umile e al tempo stesso ambiziosa. Una Milano priva di Leonardo3 sarebbe meno curiosa nell’indagare le frontiere del sapere. Meno Leonardo3, meno Milano: questa la verità. Grazie a questo museo-laboratorio, la città si arricchisce di una nota di modernità, scardinando un provincialismo che, altrimenti, graverebbe sulla sua identità culturale. Un istituto come Leonardo3, nel cuore della metropoli, rende palpabile la visione di un genio rinascimentale che ha saputo guardare oltre le convenzioni, e invita ciascuno di noi a fare altrettanto.

Thomas Villa

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