Da Pistoletto a Gio Ponti: l’etruscomania del Novecento al MART di Rovereto
Realizzata in collaborazione con la Fondazione Rovati di Milano, questa grande mostra esplora la riscoperta degli Etruschi avvenuta nel secolo scorso, con reperti esclusivi e opere dei maggiori artisti che ne sono stati influenzati
Se guardiamo i materiali promozionali di alcune delle più importanti esposizioni tra la fine degli Anni Venti e gli Anni Trenta del Novecento, questi sono accomunati dall’essere ispirati dall’immaginario etrusco. Nella copertina del catalogo della mostra d’esordio del movimento Novecento (1926), o nel manifesto della Biennale del 1934 magistralmente realizzato da Marcello Nizzoli, troviamo il segnale tangibile di come i recenti ritrovamenti etruschi avessero fortemente influenzato gli artisti e il mondo della cultura di quel periodo. Riportando l’attenzione su questo tema, il MART di Rovereto propone una preziosa mostra, promossa in collaborazione con la Fondazione Rovati di Milano, che presenta oltre 200 opere capaci di documentare come dalla fine del XIX Secolo e lungo buona parte del Novecento si sia diffusa una vera e propria “etruscomania”.
Le grandi scoperte sugli Etruschi nella mostra al MART di Rovereto
Ad accogliere il visitatore è l’opera L’Etrusco di Michelangelo Pistoletto (1976), il calco di una scultura antica che introduce alla mappa delle tappe imprescindibili del Grand Tour compiuto da molti artisti, scrittori, studiosi e connoisseur tra Roma, Cerveteri, Tarquinia e Volterra. Tutti siti dove vennero ritrovati importanti reperti come il Capro Rampante conservato al Museo Archeologico di Firenze.
La scoperta che certamente accende più di tutte l’interesse degli artisti è il rinvenimento della straordinaria statua dell’Apollo di Veio e della testa di Mercurio/Turms (quest’ultima eccezionalmente esposta al MART) nel 1916 e conservate al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. I loro sorrisi misteriosi e imperscrutabili colpiscono gli artisti dell’epoca e ne abbiamo i riverberi in varie opere in mostra da Antoine Bourdelle ad Arturo Martini. Rispetto alla idealità astratta della statuaria greca, quella etrusca viene percepita dagli autori del Novecento come foriera di una sensibilità a loro più affine e per questo viene ripresa la tecnica della terracotta, che appare perfetta per semplificare i volumi e plasmare la materia con un accento maggiormente espressivo.
I grandi artisti del Novecento nella mostra sugli Etruschi al MART
In mostra è ben documentata l’attività di coloro che si lasciano contagiare da questa passione che ha delle vette nei lavori di Arturo Martini (il quale arriverà ad affermare: “Io sono il vero etrusco”), Marino Marini e Massimo Campigli, che – a proposito dei suoi quadri – parlerà di aver trovato una “pagana felicità”. Di quest’ultimo, la tela Genealogia (1930) è una composizione che somma una serie di volti umani fortemente semplificati nei tratti che hanno una filiazione diretta con le teste votive etrusche, e in altre opere coeve vi è una sublimazione formale dei vasi canopi. Anche le celebri statue cinerarie distese, che nell’immaginario comune vengono associate agli Etruschi, hanno un fortissimo impatto sugli artisti e lo vediamo chiaramente nelle posture dell’Odalisca (1930) di Martini o nella materia informe di Leoncillo Leonardi in Amanti Antichi(1965). Siamo di fronte un fenomeno che investe anche le arti decorative con il revival dei vasi buccheri in ceramica nera lucida, operato da Duilio Cambellotti, i gioielli realizzati da Fausto Melotti o Giò Ponti, che ispirandosi alle ciste bronzee (i contenitori di gioielli e prodotti per la cosmesi) crea per la manifattura Richard-Ginori degli elegantissimi oggetti in porcellana smaltata.
La Chimera nella mostra al Mart
A chiudere il percorso espositivo è una sezione dedicata alla figura ibrida della Chimera: una piccola scultura fa da prologo visivo all’esplosione traboccante delle pennellate di Mario Schifano sulla tela realizzata nel 1985 in una sola notte a Firenze, davanti a un folto pubblico, in una sorta di happening sotto la regia e il commento del critico d’arte Achille Bonito Oliva. Attorno ad essa, tutta una serie di sculture di autori che hanno trasposto in chiave moderna alcuni motivi della creatura mitologica, come Arturo Martini o Mirko Basaldella nel suo Leone urlante (1957).
Carlo Sala
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