Come recuperare il patrimonio culturale della Siria? Intanto riapre il Museo di Damasco

Chiuso all’indomani della cacciata di al Assad, lo scorso dicembre, il museo che conserva migliaia di antichissimi reperti della civiltà siriana è tornato ad accogliere il pubblico, scongiurando danni e saccheggi. Ora sarà fondamentale la ripresa della collaborazioni internazionali

Quando nel 2011 in Siria scoppiò la guerra civile che si è conclusa solo un mese fa con la deposizione di Bashar al Assad, il Museo Nazionale di Damasco chiuse battenti nel tentativo di salvare dalla distruzione e dai saccheggi manufatti e antichità di un patrimonio archeologico di valore inestimabile per la storia dell’umanità. Nel 2018, il museo inaugurato nel 1920 riapriva con i (molti) reperti superstiti, risultato di un’operazione di messa in sicurezza e restauro dell’edificio portata avanti con il sostegno delle Nazioni Unite attraverso il Programma per lo Sviluppo, oltre che con il supporto diretto di molti archeologi internazionali.

La Siria dopo al Assad

Nel frattempo, la guerra ha continuato a imperversare prostrando una popolazione piegata dalla rigidità e dai crimini del regime dell’ex presidente – determinato a eliminare ogni forma di opposizione nei suoi 24 anni di dittatura – e dalla distruzione di combattimenti senza fine, che ora lasciano il posto a distese interminabili di macerie, scheletri di città, infrastrutture che sono solo un lontano ricordo, in una Siria stremata che avrà bisogno di ritrovare la sua identità. A Damasco, la cacciata di Assad dello scorso 8 dicembre, con l’ingresso delle forze ribelli in città, aveva coinciso con un nuova serrata del museo, per timore di nuovi e più veementi saccheggi, come peraltro successo nei giorni successivi alla fuga del presidente presso ministeri ed edifici amministrativi locali.

Riapre il Museo nazionale di Damasco

Per il destino del museo, invece, è stato fondamentale agire con prontezza, in accordo col nuovo governo di transizione islamista guidato da al Jolani, che ha inviato un gruppo di combattenti per proteggere l’edificio e le sue collezioni.
Così, a un mese esatto dalla nuovo stop, lo scorso 8 gennaio il museo ha riaperto le porte al pubblico, in un clima di rinnovata fiducia per il futuro e con il suo patrimonio – decine di migliaia di pezzi, che vanno dalle lame preistoriche alle sculture greco-romane, fino a interi settori dedicati all’arte islamica – intatto (nonostante un incendio di lieve entità scoppiato nei depositi nelle ore più concitate della presa/liberazione della città).

Siria. Grotta di Dederiyeh
Siria. Grotta di Dederiyeh

Il patrimonio culturale della Siria dopo la guerra civile

Ma il tema della salvaguardia della cultura siriana resta centrale e ben più difficile da affrontare, con l’urgenza di prendere decisioni strategiche a lunga gittata in un momento cruciale per la nazione, chiamata a fronteggiare la fine di una dinastia che per oltre 50 anni ha governato il Paese.
Gli ultimi danni al patrimonio culturale siriano sono dovuti proprio alle fasi finali della guerra, che hanno portato, per esempio, alla distruzione dell’Istituto di Antropologia all’interno del Castello di Damasco, e messo a rischio il museo di Tartus. Ma guardando indietro allo stillicidio di un’interminabile spirale di distruzione – che secondo il Syrian Observatory for Human Rights ha ucciso 528.500 persone dal 2011 a oggi, di cui migliaia imprigionate nelle terribili carceri di Assad – molti dei 700 siti archeologici del Paese (sei iscritti alla lista del patrimonio Unesco) hanno sofferto degrado e danni ancora impossibili da quantificare a fronte del blocco di tutte le missioni archeologiche internazionali e della sospensione dei programmi di collaborazione in vigore fino a un mese fa. Si è lavorato, però, negli ultimi anni, ad Aleppo, per ripristinare alcuni dei suq e la Grande Moschea danneggiata dal conflitto; e si continuerà a farlo per mettere in sicurezza l’intera cittadella storica. E nel sito di Palmira, volontariamente in parte distrutto dall’Isis nel 2015, dove c’è ancora molta strada da fare. Così per il ripristino degli altri innumerevoli siti dislocati sul territorio, diventati nel recente passato campo di battaglia anche perché sbandierati da Assad come simbolo della propaganda di regime, l’impegno per avviare la ripartenza di collaborazioni internazionali dovrà essere immediato e capillare.

La task-force dell’Heritage International Institute

Tra i primi a far sentire la propria voce, l’Heritage International Institute ha lanciato un appello ad agire in modo integrato e sistematico per proteggere il patrimonio culturale tangibile e intangibile della Siria, annunciando la creazione di una task-force preposta al compito. Composto da esperti internazionali di diversi settori, il gruppo lavorerà per difendere e promuovere tutte le forme di patrimonio culturale siriano: i siti archeologici e architettonici, i paesaggi, la musica, la danza, il cinema, la cucina, il design e la moda. Puntando a coinvolgere attivamente le comunità siriane.
L’istituto, diretto da Sergio Iovino, opera in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed è già attivo in Egitto, Iraq e Libia (ma anche in Oman, Sudafrica e Nepal, con diversi programmi di sostegno e accessibilità). Tra i suoi più importanti risultati, la digitalizzazione del patrimonio della Biblioteca Alessandrina e del Museo Nazionale della Civiltà Egizia.
Intanto anche l’organizzazione World Heritage Watch, basata in Germania – dove ha sede il Syrian Heritage Archive Project, che ha raccolto e digitalizzato centinaia di migliaia di fotografie, filmati e resoconti che documentano il patrimonio culturale della Siria prima e dopo la guerra – ha chiesto al governo di transizione di garantire che “il patrimonio culturale di tutti i gruppi religiosi ed etnici e di tutti i periodi della lunga storia della Siria sia protetto e preservato”.

Livia Montagnoli

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