Bill Viola a Mantova. E la zattera dell’epoca moderna
Palazzo Te, Mantova – fino al 20 febbraio 2014. In “The raft” le strutture del mondo contemporaneo non esistono, né le nuvole occupano il cielo, né le erbe sono germogliate. Tutto è sospeso, avvolto dalla serenità tesa dell’attesa. Bill Viola nella stanza affrescata .
Le rovine di un’ambizione scellerata e gli dei trionfanti dell’affresco di Giulio Romano (Caduta dei Giganti, 1532-34) aprono il percorso che conduce nelle sale napoleoniche, di fronte a diciannove figure del nostro tempo. Persone di etnie, sesso ed estrazioni diverse, che attendono l’arrivo di un autobus o di qualcosa la cui entità è all’inizio misteriosa. Nel video The raft (2004) di Bill Viola (New York, 1951), questi uomini e queste donne sono in un luogo sconnesso dal mondo che solitamente li accoglie; le strutture della società contemporanea non esistono né le nuvole occupano il cielo, né le erbe sono germogliate, tutto è sospeso, avvolto da una calma tesa. All’improvviso un getto d’acqua ampio e violento li travolge. Subito dopo, un secondo dal lato opposto agisce per non concedere vie di fuga. Tutto si confonde nel diluvio che non risparmia nulla. Arti e movimenti s’intrecciano confusamente nello zampillare furente e luminoso dell’acqua. C’è chi arranca su se stesso per reagire e sopravvivere, chi si abbandona crollando immediatamente, chi resiste teso e chi, più forte, sostiene qualcun altro. Il lento scorrere della sequenza contrasta con la forza delle immagini e del suono della tempesta emanato senza delicatezze dall’impianto Dolby Surround.
Al nubifragio che sembra non avere fine segue improvvisa la quiete. E tutto si calma. I superstiti che prima del cataclisma erano chiusi in se stessi si riprendono atteggiandosi in reazioni diverse e si sostengono a vicenda. Dalla zattera della nostra epoca, avvolti in una placenta primordiale di ritrovata consapevolezza, guardano avanti rinati.
La disposizione del video risulta molto efficace perché dalla Camera dei Giganti, passando per una stanza in penombra, si giunge al buio di The raft, che esalta la capacità d’assorbimento facendo sì che s’avverta il proprio mondo interiore immergersi nello spazio totale di visione e suono. Così le immagini lente e quasi fisse alla percezione oculare collocano l’osservatore in un frangente statico indefinibile, indubbiamente antitetico al nostro quotidiano, un posto determinato solamente dallo schizzare brillante dell’acqua e dai movimenti in slow motion dei soggetti, percepibili come sculture vive. Con questa abilità ormai conclamata Bill Viola elabora il dramma del presente trattandolo come catastrofe primigenia. Le ferite degli Anni Zero, non ancora cicatrizzate sulla carne dell’uomo moderno, sono coperte dal lusso della comodità che le nasconde rendendole subito dimenticate. Ma la tempesta d’acqua salata spazza la labile corazza accendendo di bruciore la realtà dell’essere Uomo. Storditi ma salvi, e forse redenti, i naufraghi ricoperti dal fluido vitale rimangono sulla zattera che da circa due secoli da quella di Géricault non perde di necessità impellente.
Domenico Russo
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