Ettore Majorana e la volontà di sparizione. L’omaggio di Valentina Vetturi
Ettore Majorana non è morto suicida: la notizia è esplosa come una bomba, ma siamo davvero di fronte alla verità? L'omaggio di un'artsta a un genio della fisica. Che era anche un appassionato di scacchi. Per la prima volta sul web un estratto dal video
Il caso è chiuso. A 77 anni dalla scomparsa di Ettore Majorana, la procura di Roma, che non aveva mai chiuso il fascicolo, ha deciso di mettere un punto alla vicenda. Per decenni il mistero che aleggiava intorno alla figura di questo giovane genio della fisica – nato a Catania nel 1906, allievo e poi collaboratore di Enrico Fermi alla facoltà di Fisica dell’Università di Roma – ha conquistato la curiosità di scrittori, registi, giornalisti, artisti (da Gianni Amelio, col film “I ragazzi di via Panisperna”, al libro di Leonardo Sciascia “La scmparsa di Majorana”). Mentre l’Italia tutta s’interrogava sulla vita, la morte (presunta), le ragioni e i destini di questo strano personaggio, mente acuta e animo sensibile, che nel 1938 fece perdere le tracce di sé. Proprio nel mezzo di una brillante carriera.
Che fine fece Majorana? Si rifugiò in un convento della Calabria? Perse la vita in mare, nel suo ultimo tragitto verso Napoli? Fuggì all’estero, in cerca di una vita nuova, libero dai vincoli accademici, forse spaventato dalle ricerche sul nucleare, che avrebbero condotto all’orrore della bomba atomica?
Secondo le autorità, Ettore Majorana non sarebbe morto suicida. In quella lettera di commiato, poi smentita con un’altra missiva, ma confermata dal corso degli eventi, avrebbe fatto riferimento a una fuga, più che a un desiderio di morte. E sarebbe finito in Venezuela. Qui lo avrebbero avvistato, tra il 1955 e il 1959, con il nome di Bini. Raffronti fotografici con raffinate tecniche d’invecchiamento, testimonianze dirette e riscontri in loco, hanno convinto gli investigatori. Meno persuasi gli eredi, che in quell’unica foto rinvenuta non rintracciano una particolare somiglianza, e che continuano a custodire il dubbio, come nel più perfetto dei romanzi gialli.
Con una incredibile coincidenza di tempi e circostanze, Valentina Vetturi, nei giorni in cui la Procura diramava la notizia, espone a Roma un’opera dedicata al fisico catanese. Che era anche un grande appassionato di scacchi. “La Mossa di Ettore”, presentata nel ciclo “Esercizi di Rivoluzione”, curato da MAXXI e Nomas Foundation, è stata realizzata con la collaborazione del MACRO nell’ ambito del programma Artisti In Residenza.
E proprio al Macro è esposta, negli spazi dell’atelier temporaneo dell’artista, fino al prossimo 1 marzo: un tavolo/scacchiera, un’ incisione con foglia oro e un video, in cui viene immortalato l’atto performativo. Lavoro rigorosissimo, perfettamente risolto sul piano formale e del concetto, che è insieme un omaggio, un ritratto psicologico e una trasposizione teorica di una incredibile vicenda biografica.
Il 5 ottobre del 2014, presso lo studio del Macro in cui Valentina consumava la sua residenza, si sono trovati intorno a una scacchiera i maestri Lexy Ortega e Massimiliano Lucaroni. Un duello all’ultima mossa, destinato a scrivere un piccolo capitolo speciale nella storia dei duelli tra scacchisti. Stesse regole di sempre, ma con una variazione decisiva, poetica quanto concettuale: per la prima volta veniva utilizzata una mossa supplementare, introdotta per l’occasione e battezzata “La Mossa di Ettore”. Un tributo allo scienziato leggendario e alla sua volontà di sparizione. Un tentativo di rappresentazione dell’irrappresentabile, l’immagine di uno spostamento radicale, di un venire meno. E quindi, la determinazione del vuoto: sospendere il tempo presente, mutare direzione alle cose, spogliarsi di un’identità e cercarne una nuova. Una morte simbolica.
Contravvenendo alla logica agonistica e al meccanismo del conflitto, chi sceglie di usare “La Mossa di Ettore” sceglie un’azione svantaggiosa. Si mette cioè nelle condizioni di perdere, arrestando la corsa verso lo scacco matto e di fatto neutralzzando l’avversario. Offertosi alla sconfitta, grazie alla potenza sovversiva dell’errore, il giocatore si alza e abbandona la partita. Svanendo, senza un perché.
Helga Marsala
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