Ramdom all’estremo sud. Intervista con Paolo Mele
Dalle Finisterrae alla sostenibilità, attraverso l’arte contemporanea unita alla ricerca scientifica. È la ricerca avviata da Ramdom nella stazione più estrema del Sud Italia, a Gagliano del Capo. Ne abbiamo parlato col fondatore di Ramdom, Paolo Mele.
Le terre estreme, luoghi di confine naturale, terre di partenza o di arrivo ma non di passaggio. Le finisterrae costituiscono il punto di avvio della ricerca artistico-scientifica intrapresa da Ramdom e GAP con il progetto Indagine sulle terre estreme, giunto alla seconda edizione. La sperimentazione, che unisce l’arte contemporanea alla multidisciplinarietà, è finalizzata alla sostenibilità e allo sviluppo di una riflessione nella coscienza collettiva e risulta caratterizzata da un’anima profondamente radicata sul territorio. Partendo dalla punta estrema del Sud Italia, dall’ultima stazione ferroviaria di Gagliano-Leuca, artisti, scienziati, ricercatori e studiosi hanno partecipato, dall’11 luglio al 2 agosto, a un dibattito culturale costellato da diverse iniziative: una residenza artistica, workshop, performance e la mostra Lastation, con artisti come Andreco, Carboni, Coclite, De Mattia e Carlos Casas.
Artribune ha approfondito i risultati di questa ricerca dialogando con Paolo Mele, co-fondatore di Ramdom insieme a Luca Coclite.
Puoi spiegare il concetto di terre estreme intese come terre di approdo e non di passaggio?
Storicamente le nostre terre sono considerate svantaggiate perché situate all’estremo lembo d’Italia e d’Europa. Il concetto di estremità è insito nella posizione geografica ed è stato sempre vissuto così per fattori economici e sociali, diventati poi antropologici.
Nel progetto Indagine sulle Terre Estreme abbiamo ribaltato la prospettiva, guardando le estremità come terre di partenza, luoghi da cui ripartire. Anche il concetto stesso d’indagine che abbiamo scelto indica un processo aperto, allargato che abbiamo voluto creare e descrive la nostra idea d’interrogarci e aprire lo sguardo sul nostro territorio, coinvolgendo curatori, artisti, scienziati.
L’arte contemporanea costituisce dunque una soluzione per lo sviluppo dell’economia territoriale?
Abbiamo pensato all’arte contemporanea più come chiave di lettura e interpretazione di questo territorio, contaminandola con discipline inerenti al paesaggio come la geografia o la morfologia. Abbiamo cercato di portare l’arte direttamente sul territorio, con opere site specific, allargando la prospettiva e la riflessione con il contributo di astronomi, studiosi, geologi, scienziati. L’arte contemporanea deve dialogare con altre discipline, mettendo in campo energie per sommuovere il territorio, smuovendo le economie.
Siamo partiti da Gagliano del Capo per sviluppare i linguaggi dell’arte contaminandoli con la multidisciplinarietà. Attraverso una mappatura diffusa del territorio abbiamo cercato di capire quale possa essere il giusto equilibrio per smuovere la coscienza collettiva, creare un pubblico, partendo dalle terre estreme. Perché non siamo a Milano, siamo alla periferia del Sud Italia e bisogna fare un progetto finalizzato alla sostenibilità più che ai collezionisti, coinvolgendo le associazioni non profit, così come abbiamo fatto e costruendo, attraverso la creatività, nuovi modelli di equilibrio e sostenibilità.
Nella residenza di quest’anno avete dato molto spazio al cinema, coinvolgendo, tra gli altri, l’artista visivo e regista Carlos Casas. Com’è avvenuto questo incontro?
Abbiamo seguito un percorso coerente con l’idea di base delle terre estreme anche nella scelta curatoriale relativa a Lastation. Oltre agli artisti Andreco, Coclite, Carboni e De Mattia, abbiamo contattato Carlos Casas non tanto per l’aspetto cinematografico, quanto per le tematiche che ha affrontato. Siamo partiti dall’analisi dell’opera di Carlos – che ha esposto anche all’Hangar Bicocca di Milano – e del suo lavoro dedicato ai posti estremi nel mondo come Siberia e Patagonia.
Ci parli del nuovo spazio di Ramdom, Lastation, l’ultima stazione ferroviaria del Sud Italia sui binari della stazione di Gagliano-Leuca?
Nel momento in cui si è creato il bando regionale Mente Locale (e il bando Mettici le Mani), abbiamo capito che la stazione di Gagliano sarebbe stato lo spazio ideale, la cabina d’indagine delle terre estreme. Non è un posto di passaggio ma di partenza, la zona più a Sud-Est di Puglia, il punto d’incontro tra Est e Ovest: e ha tutte le caratteristiche per stuzzicare le nostre fantasie.
L’obiettivo è di rendere questo spazio multifunzionale, non solo a favore dell’arte contemporanea ma impiegandolo come foresteria, residenze e rendendolo uno spazio di condivisione, di co-working, per cercare di dialogare col territorio ed esaminare le sue caratteristiche socio-antropomorfiche. Creare dunque un luogo di confronto per ricercatori, artisti, agronomi, biologi, scienziati.
Cecilia Pavone
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