Storie sovrapposte. Sigmar Polke a Venezia
Palazzo Grassi, Venezia – fino al 6 novembre 2016. È la Laguna ad accogliere la prima retrospettiva italiana dedicata all’artista tedesco, scomparso nel 2010. Circa novanta opere testimoniano la carriera intensa e allergica alle definizioni di Polke, ripercorrendone la storia al netto di sovrastrutture cronologiche. Un’immersione, empatica e visiva, fra strati di materia e caustici punti di vista sulla realtà.
SIGMAR POLKE. PUNTO
Non ha bisogno di sottotitoli l’esposizione dedicata a Sigmar Polke (Oels, 1941 – Colonia, 2010) da Palazzo Grassi, nell’anno in cui ricorrono il decennale dalla riapertura dell’istituzione veneziana a opera di François Pinault e il trentennale dalla partecipazione di Polke alla Biennale del 1986, che gli valse il Leone d’Oro.
L’emblematico punto che segue il nome e il cognome dell’artista tedesco, componendo il titolo in bella vista sulla facciata della sede espositiva, anticipa l’impossibilità di attribuire al fare creativo di Polke una qualsiasi definizione di genere o di rinchiudere le sue opere nel rassicurante recinto di un’etichetta. Quel punto, nella sua fermezza sintattica e ontologica, schiude in realtà le porte su un universo mutevole, che fa della sorpresa, dell’ironia e della sperimentazione il proprio marchio distintivo.
UNA STORIA A STRATI
Nella storia artistica di Polke si incede per tentativi, andando al fondo degli innumerevoli strati di cui è costituita la sua tecnica così come il suo approccio al mondo. Nonostante l’effetto di semi-trasparenza che lo attraversa, complice il luminoso atrio di Palazzo Grassi, il poderoso ciclo pittorico alla base di Axial Age (2005-07) non nasconde le cicatrici cromatiche e materiche che anticipano le infinite stratificazioni di senso e sostanza presenti ai piani superiori.
Dagli Anni Sessanta agli Anni Zero, la produzione artistica di Polke si dispiega sulle pareti neutre, lasciando parlare, ancora una volta, la materia. Tela, feltro, tessuto, carta, lurex e poliestere fanno da sfondo a smalti, vernici, pastelli, colla glitter, spille da balia, mica ferrigna, resina, creta, dando vita a un gioco di quinte a due dimensioni, tra le quali si insinua tutta la potenza della tridimensionalità. Figure, numeri, anche il puro colore sembrano staccarsi dal supporto e correre incontro allo sguardo, messaggeri di una caustica ironia che innerva le opere di Polke, garantendo loro un equilibrio altrimenti impensabile.
IRONIA CAUSTICA E POESIA TRAGICA
Ancorata alla logica dello strato, un’ironia amara emerge, ad esempio, dalla superficie di Amerikanisch-Mexikanische Grenze (1984) e di Hände (vorm Gesicht) del 1986 – resa ancora più densa dall’utilizzo di una maglia retinica di sapore pointilliste – per poi stemperarsi nella bellezza pittorica di Lapis Lazuli II (1994) e tornare, con una nota di divertimento, in Telepathische Sitzung II (William Blake – Sigmar Polke) – un dialogo telepatico fra l’artista e il leggendario Blake, datato 1968.
L’incredibile forza di Polke è nell’intreccio di storie che le sue opere evocano e racchiudono, concedendone la vera trama solo a un occhio paziente e attento al dettaglio. Proprio come in Zirkusfiguren (2005), l’imponente ritratto di un mondo circense che, oltre i lustrini e le cromie d’infanzia, lascia trapelare una poesia tragica e sfuggente, in cui l’apparenza giocosa trae linfa da un sottotesto imprevedibile. Proprio come nella vita reale.
Arianna Testino
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