Biennale di Berlino. The Present in Drag
La nona edizione della Biennale di Berlino ha aperto al pubblico. E c’è tempo fino a metà settembre per visitarla. Noi ci siamo stati nei giorni della preview e questa è l’impressione che ne abbiamo ricavato. Mentre già ci si prepara per Manifesta a Zurigo.
IL BUSINESS È LA CREATIVITÀ
Nell’introduzione al catalogo della nona edizione della Berlin Biennale of Contemporary Art, fresca di vernice e aperta fino a settembre, Gabreile Horn, direttrice del KW Institute of Contemporary Art – consueta sede – tiene a indicarci che dal l996, anno in cui questa biennale (imitatio Venezia) e il primo smartphone furono lanciati, il giro d’affari delle più grandi gallerie del mondo è cresciuto da 10 a 200 milioni di dollari e, secondo Artprice, speculando soprattutto sull’arte contemporanea, money-laundry per eccellenza.
Nonostante la distanza critica, la resistenza, la demistificazione, la protesta o la provocazione, non si sfugge al potere soverchiante della strumentalizzazione neoliberista, che abbiamo conosciuto in altri settori. Anzi, sono proprio queste qualità dell’attività artistica, le più utili alla sua commercializzazione. Il flusso di immagini dei piccoli e grandi dispositivi della comunicazione globale conduce verso la loro saturazione e svalutazione. Niente più finestre sulla realtà. Nessuna veridicità nell’immagine. Fine della fiducia. Nelle impenetrabilmente complesse società del benessere, gli artisti “usano l’estetica della pubblicità e del product design; la cultura del consumatore e i suoi media prendono spunto dall’estetica e dalle strategia dell’arte; lo shock come reazione è quasi impossibile da provocare” (Horn): i confini tra arte e business sono saltati. Anzi, Business ist Kreativität.
Il fatto che l’arte veicoli ancora potentemente il mito di culla delle critiche alternative continua evento dopo evento, a farci cadere nell’errore di aspettaci proprio questo da lei. Non in questa biennale però, tantomeno nelle intenzioni dei suoi fautori. Nello scenario del capitalismo tecno-turbo-lifestyle-globale e del monitoraggio digitale che raggiunge ormai anche le aree più private della vita, non si può più essere abbastanza “fuori da” perché la riflessione indipendente e l’interpretazione siano possibili. Josephine Berry Slater, editor di Mute e coordinatore del Post-Media Lab alla Leuphana University di Lüneburg, l’ha espresso in una frase sola: “Il Modernismo, con la sua pretesa che la critica sia possibile, appartiene al passato”.
L’IMPOSTAZIONE CURATORIALE DEL GRUPPO DIS
“Se il futuro è questo, allora cos’è il futuro?”, ha chiesto il team curatoriale newyorchese DIS Magazine – Lauren Boyle, Solomon Chase, Marco Roso e David Toro, fondatori dell’omonima rivista-esperimento di contenitore universale dell’espressività contemporanea online – agli artisti, ai collettivi, agli intellettuali e ai progetti invitati, tutti con una “naturale predisposizione per i fenomeni pop ed una scarsa distinzione tra alto e basso” (Horn). Se spaziale o gerarchico non è dato sapere.
I DIS (prefisso di parole composte per negazione o contrapposizione) sono sedicenti agenti, segreti e non (dis-segreti? dis-agenti?), “esperti nel non rivendicare alcuna competenza”, sradicati da arte-critica-commercio e operanti all’intersezione tra pop culture, moda, cinema, arte, web design, critica, copyright e letteratura: ci mostrano, con questa loro edizione, come l’odierna Berlino (qui potete leggere il nostro ultimo reportage) appaia vista dalla Grande Mela. Una biennale a distanza che hanno intitolato “Il Presente è drag”.
“È il presente ad essere inconoscibile, imprevedibile, ed incomprensibile – contraffatto da un vincolo permanente al set delle fiction. Oggigiorno non c’è nulla di particolarmente realistico nel mondo. Un mondo in cui investire nella fiction è più redditizio che puntare sulla realtà. È questo tipo di slittamento di genere, dalla science fiction al fantasy, che lo rende stimolante, aperto, accessibile a chiunque, non binario”, raccontano. “Il super-gruppo di artisti e collaboratori che abbiamo mobilitato non sono usurati bensì stimolati da questa incertezza. In questo clima ognuno può iniziare a costruire un’alternativa presente, riconfigurare narrazioni fallite, decifrare significato dal flusso continuo”.
Assumendo come un dato di fatto il paradosso inerente l’imperativo del mercato e i suoi algoritmi, sviluppano la loro personale posizione vivendo e disegnando sul presente nelle sue contraddizioni estreme “dall’interno”: il drag-presente.
LE MULTIFORMI SEDI DELLA BIENNALE
Business, cultura del consumo, trend, benessere e felicità, turismo e marketing, brandizzazione e product design in una società multidimensionale sono alcuni dei topic e dei temi affrontati. Quartier generale e punto di partenza di questa edizione è l’Akademie der Künste, fondata nel 2002 da 25 società d’affari tedesche. “Immaginiamo la città di Berlino guidata da queste energie. Pariser Platz è il nostro punto di partenza. Quest’iconica trappola per turisti è il luogo dove Micheal Jackson una volta ha fatto penzolare il suo bambino dal suo balcone all’Aldon Hotel, in una performance pubblico/privata che anticipava la moltitudine di selfie-stick che ora inquadrano ogni luogo storico di Berlino. Questa piazza è circondata da network per lo più invisibili di corporate e poteri nazionali: è qui che Lockheed Martin, Allianz Stiftungsforum, DZ Bank e BP Europa SE hanno le loro sedi, affianco all’ambasciata francese e statunitense”.
Accanto all’Akademie, la Biennale coinvolge la sua storica sede, il KW Institute for Contemporay Art, il piano terra della Feuerle Collection – museo d’arte privato inaugurato ad aprile 2016, che intende giustapporre artisti contemporanei internazionali a mobilia imperiale cinese e scultura del Sud-est asiatico –, la European School of Management and Technology – prima sede del consiglio di stato della DDR e ora scuola di global business –, nonché addirittura uno dei barconi turistici della compagnia berlinese Reederei Riedel, trasformato per l’occasione in un’opera d’arte mobile, location per eventi e performance.
UNA MOSTRA POST-CONTEMPORARY
I partecipanti spaziano da Adrian Piper, la quale fin dagli Anni Sessanta esplora con la sua arte concettuale le determinazioni di una soggettività basata sulle regole e la politica e il linguaggio della rappresentaizone, da Jacob Appelbaum, influente membro del software Tor per l’anonimia online, passando per Halil Altindere, autore del videoclip Homeland per il rapper siriano Mohammad Abu Hajar, da poco rifugiato a Berlino; per giungere al collettivo italo-londinese åyr, presente con un’installazione che unisce in un unico corpo muro di Berlino e spazi abitativi in stile Airbnb.
Il tutto unito dall’etichetta “post-contemporary”, concetto che presta il nome anche al consueto workshop dedicato a giovani curatori che si terrà a settembre, coordinato quest’anno da Armen Avanessian, filosofo austriaco nonché editore di Merve Verlag, presente anch’egli alla biennale con una piattaforma di ricerca o para-agenzia semi-pubblica chiamata Discreet, che tenterà di porre le fondamenta, tra giugno e luglio, per un servizio segreto a favore dei cittadini.
“La nostra proposta è semplice: anziché organizzare conferenze sull’ansia, rendiamo la gente ansiosa. Piuttosto che indire simposi sulla privacy, mettiamola a repentaglio. Diamo un corpo ai problemi del presente laddove si presentano e facciamoli divenire una questione dell’agire (del fare) – e non del subire da spettatori. Invece di smascherare il presente, lo abbiamo reso drag. Questo è il drag-presente”.
Silvia Eleonora Longo e Marica Rizzato Naressi
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