Dall’Archivio Viafarini. Intervista con Isabella Benshimol
Secondo appuntamento con le conversazioni tra Progetto /77 e alcuni degli artisti incontrati nell’ambito del progetto "Portfolio Review Re-enactment", svolto in collaborazione con Viafarini.
Dopo il dialogo con Mati Jhurry, Progetto /77 incontra un’altra artista impegnata in una ricerca che unisce pratica video e dimensione performativa. Isabella Benshimol nasce a Caracas, in Venezuela, nel 1994 e la sua poetica si basa sulla produzione di video e performance in ambienti totalmente asettici, puntando sull’ossessività del gesto con ironia e perseveranza. Isabella indaga quello che è il desiderio, a volte irrefrenabile, del corpo, legato soprattutto alla materia, all’oggetto. Invita lo spettatore a entrare in un mondo di stereotipi quali la ricchezza o la sensualità di cui mantiene un rigoroso controllo, e verso i quali è difficile non provare empatia. Nel video Whale vomit can make you rich, l’artista indaga l’idea di cambiamento connesso all’assimilazione corporea del cibo e all’artificiosità della ricchezza e del consumismo.
Esiste all’interno del video Whale vomit can make you rich una fortissima ricerca estetica, legata a un ambiente asettico, bianco, spoglio che sembra enfatizzare l’idea di “dead plasticity” che più volte citi quando parli del tuo lavoro. Da dove proviene questo interesse e dove ti poni rispetto alla relazione tra il corpo e un ambiente di questo tipo?
Sono sempre stata molto interessata a comprendere la relazione che intercorre fra il corpo e l’ambiente circostante, chiedendomi: “Qual è l’ambiente contemporaneo? È tutto una messa in scena?”. Avendo lavorato con temi connessi al corpo e ai suoi desideri, mi sento molto attaccata all’importanza data a questi aspetti e al modo di trattarli. Pertanto, nel mio lavoro invito lo spettatore a reagire a certi oggetti che creano affezione all’interno di una società materialista contemporanea, esprimendomi non solo dal punto di vista di una consumatrice, ma anche di persona che prova un desiderio irrefrenabile verso questi oggetti.
Personalmente, sono sedotta dal modo in cui cambia e si evolve la materia prima, sviluppando un grande interesse verso la “plasticità del finto”.
Non sono interessata allo stato attuale della materia artificiale, ma piuttosto al processo di trasformazione da un’esperienza organica a una fisicità artificiale o “plasticità morta”. Il mio obiettivo è quello di creare una situazione paradossale di perplessità in cui persiste una speranza puramente poetica rivolta all’artificiale e alla materia morta.
Come avete sottolineato, la mia ricerca è fortemente legata all’ambiente asettico; lavoro spesso con l’idea di limbo, che associo allo studio bianco. Ma “nonostante il bianco sia spesso associato a cose piacevoli e pure, esiste una particolare dimensione di vuoto nel colore bianco. È il vuoto del bianco ad essere più inquietante anche del rosso del sangue”. (Moby Dick). Sono molto affascinata da questa idea di perfezione inquietante e di controllo assoluto, come anche dall’immagine di vacuità del bianco: questa piattaforma plastica che mi permette non solo di costruire un’estetica, ma una mia personale messa in scena.
Sembra essere presente all’interno del video una forte critica all’artificialità e alla messa in scena della vita quotidiana che caratterizza la società dei consumi, analizzata attraverso diversi elementi precisi e ben calibrati, tra cui la presenza della composizione di sushi sul bordo della vasca. Ad un certo punto del video ne mangi uno, rompendo lo schematismo estetico che avevi creato. Puoi spiegarci la rilevanza di questo semplice gesto?
Il gesto di mangiare un luccicante pezzetto di pesce crudo dolcemente adagiato sul riso, rompendo così la perfetta armonia data dall’alternanza di sushi di salmone e tonno, non è solo violento, ma anche politico.
Mangiando questa entità morta – che sembra plastica – che verrà digerita dal mio corpo, evoco un atto di cannibalismo e necrofilia dal piacere incontrollabile. Ovviamente questa azione avviene all’interno del contenitore di un’acqua spumeggiante: la Jacuzzi. Vedo la balena, intesa come metafora della Jacuzzi, come un “contenitore di plastica”, uno spazio di trasformazione simbolico, concettualmente connesso al naturale processo di digestione in cui gli elementi si mischiano e vengono digeriti insieme in un “tumultuoso” momento.
Whale Vomit Can Make You Rich deriva da un’analisi critica del movimento letterario, artistico e politico venezuelano d’avanguardia El Techo de la Ballena. È conosciuto come movimento di contro cultura, del quale sono state documentate le pubblicazioni politiche e le mostre provocatorie; aveva l’obiettivo di “cambiare le vite e trasformare la società” durante gli Anni Sessanta, un lungo periodo di disordine politico.
Riferendosi soprattutto all’ambiente artistico, i membri de El Techo de la Ballena rifiutavano fortemente qualunque tipo di astrazione geometrica in arte, accusando i suoi promotori di essere superficiali e freddi, e di non mostrare la vera situazione del Venezuela; dichiaravano che come gruppo erano intenzionati a dimostrare che “la materia è più lucida del colore”. Personalmente sono concorde con questa posizione, la trovo molto seducente.
Se da un lato molti dei tuoi lavori partono da un’analisi su questioni socio-politiche, dall’altro utilizzi un’immagine veicolata da un’estetica patinata ed iperestetizzata. Come riesci a bilanciare questi due aspetti all’interno della tua ricerca?
Capisco cosa intendete, ma non li vedo come due aspetti separati, credo anzi che collaborino all’interno della mia pratica. L’estetica che uso è un effetto incontrollato dell’analisi che compio. Non sono interessata soltanto alla viscosità della materia, ma anche a come l’organico si trasforma in questa fisicità artificiale, creando un’estetica. Mi sono posta di fronte alla dualità fra ciò che è reale e situazioni, azioni e spazi artificiali, e a come queste due entità possano collidere in una società contemporanea rendendo molto difficile per gli individui distinguerle. La superficialità della vita contemporanea e la nostra incapacità di comprenderne fino in fondo le dinamiche, mi ha spinta a riflettere riguardo all’idea di una completa mise-en-scène di una situazione, ed è stato lì che è nata in me una profonda sensazione di imbroglio e di illusione.
È altrettanto importante menzionare che uno dei miei interessi principali è quello di lavorare con lo stereotipo di questa estetica superficiale e di distruggerlo con piccoli “hints”, compiendo azioni quasi insignificanti che possano essere percepite dallo spettatore come piccoli “errori”; a quel punto questi piccoli particolari diventano fondamentali per creare un senso di disorientamento o il sentore di una situazione bizzarra.
/77
www.viafarini.org
http://progetto77.tumblr.com
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