Dall’Archivio Viafarini. Intervista con Roberto Casti

Spazio, ancora una volta, alle conversazioni tra Progetto /77 e alcuni degli artisti incontrati nell’ambito del progetto "Portfolio Review Re-enactment", in collaborazione con Viafarini. Roberto Casti, racconta The Boys and Kifer, il suo progetto di one-man-band immaginaria.

Seguendo l’esempio di  Mati Jhurry,Isabella BenshimolGiada CarnevaleMarina CavadiniAldo Lurgo eDaniele PulzeMattia Agnelli, Roberto Casti (Iglesias, 1992) descrive il suo progetto The Boys and Kifer, che, come si legge sul sito ufficiale, è “una band immaginaria, nonché un progetto artistico, musicale e visivo dell’artista e compositore Roberto Casti”. Una ricerca sulle dinamiche di fruizione dell’arte affiancata a un’efficace riflessione sul concetto di DIY ai tempi di Bandcamp, ha portato Casti a utilizzare il format di one-man-band per esibirsi in lunghe performance che assumono la forma di concerti.
Produzione musicale e arti visive si intersecano, invadendo i reciproci spazi senza mai ibridarsi del tutto: un progetto stratificato in cui determinate forme prestabilite dell’arte contemporanea convivono con l’album in free download e il live sulla spiaggia.

Pensando a questo progetto vengono in mente diversi precedenti storici, uno su tutti l’esperienza di Fluxus negli Anni sessanta. È interessante, però, notare come The Boys and Kifer sembri nascere da una consapevolezza del fatto che parlare di limiti tra arte e vita (o arte e musica più nello specifico) oggi non interessi più, tantomeno, quindi, il fatto di cercare di abbatterli. Cosa ti ha spinto a lavorare in questa maniera?
Il mio intento, infatti, non è quello di abbattere le barriere tra arte e musica ma, piuttosto, quello di analizzarne le dinamiche parallele. Durante il mio percorso personale ho avuto modo di conoscere entrambi i mondi e di riflettere sulla fruibilità dei linguaggi, sia visivi che sonori. La musica è un medium come un altro che, ormai, sconfina già da tempo nelle arti visive. Questo perché il suono è esperienza, e l’esperienza è ciò che più mi interessa quando lavoro. Se pensiamo al mondo della musica, non ci limitiamo solamente a canticchiare una canzone, ma estendiamo i nostri pensieri alle copertine degli album, alla presenza del musicista sul palco, al profilo Bandcamp, al canale YouTube, oltre che agli innumerevoli rimandi culturali e visivi che una canzone può dare. Partendo da queste basi, The Boys and Kifer si muove esattamente come una qualsiasi band: viene promossa tramite sito ufficiale e social, realizza videoclip e rilascia album ed EP. La concretizzazione del progetto però si attua con gli eventi, vere e proprie performance in cui provo a creare atmosfere di volta in volta uniche, mettendo in discussione il concetto stesso di live. In questo senso, il concerto può essere facilmente paragonato a una mostra, in quanto entrambi possono essere definiti composizioni esperienziali.

Roberto Casti, GENE VI + The Boys and Kifer, Waiting Room, Studi Festival 2016

Roberto Casti, GENE VI + The Boys and Kifer, Waiting Room, Studi Festival 2016

C’è quindi un legame tra un concerto e un’esperienza espositiva?
In qualche modo, le stesse problematiche che troviamo in un’esposizione d’arte, le possiamo trovare anche in un concerto. Credo che le ambiguità scaturite dai processi sensoriali ma anche allestitivi dei concerti e delle mostre riescano a far riflettere non solo sui confini e i limiti che un medium può varcare, ma anche sulle esperienze personali. Alcune mie performance, per esempio, precludono delle possibilità al pubblico e questo porta il fruitore a vivere il live in una maniera diversa rispetto a qualsiasi altro concerto. Durante Studi Festival ho realizzato una mostra con un collettivo di artiste chiamate GENE VI, in cui il pubblico poteva salire sul soppalco dove suonavo attraverso una piccola scala e, per forza di cose, ogni persona era costretta ad assistere al concerto da sola, o comunque accanto a un pubblico ridottissimo. Questo cambia sicuramente la percezione di live, e mi piace accostarlo al rapporto intimo e personale tra il pubblico e l’opera d’arte, ma anche fra lo stesso artista e il suo lavoro.

Durante le tue performance ti esibisci indossando una maschera: che ruolo ha questo elemento all’interno del progetto?
Le maschere hanno sempre avuto un forte impatto visivo ed evocativo nella storia. Basti pensare a come vengono utilizzate dagli sciamani che, ancora oggi, in alcune popolazioni, si immedesimano con le divinità in modo da scongiurare malattie e malauguri. La maschera comporta una perdita di identità e quindi una trasformazione dell’individuo che la indossa. Oltretutto può essere associata a un’infinità di tradizioni e rimandi, ma anche di stati d’animo e reazioni differenti. Può trattarsi di una maschera di carnevale, che quindi fa provare gioia o di una maschera funeraria, che fa pensare alla morte. Nonostante io utilizzi principalmente una sola maschera, durante i concerti mi piace sconvolgere i piani indossandone delle altre. A volte le affido a persone che, durante gli eventi, prendono parte a piccole performance. Il punto è che dietro la mia maschera ci può essere chiunque e chiunque può immedesimarsi in chi suona. Non mi interessa la frammentazione dell’identità, ma piuttosto la cancellazione di essa a favore di un’esperienza condivisibile tra le persone a livello sensoriale, quasi spirituale.

Roberto Casti, The Boys and Kifer, Another Sun Release Party, 2015

Roberto Casti, The Boys and Kifer, Another Sun Release Party, 2015

La tua ricerca si sviluppa parallelamente a un impegno sociale svolto nella tua terra d’origine, la Sardegna, tramite una stretta collaborazione con il collettivo Giuseppefraugallery nell’ambito del progetto della Scuola Civica d’Arte Contemporanea – Iglesias. Come convive questo aspetto con The Boys and Kifer?
Giuseppefraugallery è un collettivo che lavora, appunto, tramite operazioni sociali, pubbliche e partecipate. La Scuola Civica d’Arte Contemporanea di Iglesias è una di queste: è stata donata al Comune come una vera e propria opera d’arte pubblica, rappresentando un inedito tentativo di avvicinare all’arte contemporanea una comunità, grazie a una formazione permanente, attraverso una serie ciclica, partecipata e gratuita, di corsi, workshop e incontri con artisti e curatori attivi a livello internazionale. Ovvio che la vera sfida stia nel ricercare e sperimentare azioni artistiche e didattiche innovative per formare un pubblico che con l’arte contemporanea non ha mai avuto a che fare. In questo senso la scuola si evolve e si modifica, non solo per mezzo della ricerca di nuove strategie di comunicazione da parte del collettivo, ma anche con il contributo degli stessi studenti che, nel tempo, vengono integrati in una masterclass attiva anche a livello progettuale e organizzativo.

Come si combina con tutto questo il tuo progetto di band?
The Boys and Kifer può essere considerato, in qualche modo, un ulteriore tentativo per avvicinare la comunità ai codici decisamente poco convenzionali delle arti visive. Il mio territorio è attivo a livello musicale, ma, nonostante esistano realtà alternative interessanti, la maggior parte delle persone preferisce fare karaoke, andare in piazza a sentire una cover band o andare a ballare in locali, difficilmente paragonabili a club, dove la musica di qualità non esiste. A livello artistico la situazione è ancora più problematica, perché non c’è mai stato un tentativo di educare lo sguardo e le coscienze ai codici espressivi contemporanei. Ed è proprio da questa falla nel sistema (dell’arte e dell’istruzione) che derivano i vari stereotipi e luoghi comuni sull’arte.

Come si possono risolvere queste problematiche?
Bisogna tenere conto del fatto che fino a qualche tempo fa la provincia di Carbonia-Iglesias era la più povera d’Italia (oggi è la penultima). Sotto un certo punto di vista è comprensibile che in un territorio del genere, in cui i giovani scappano mentre i lavoratori protestano per far riaprire industrie anacronistiche e inquinanti, molte persone non nutrano grande interesse per l’arte e la cultura. Tuttavia, se vogliamo davvero far ripartire il nostro territorio, dobbiamo cominciare a pensare a delle alternative valide alle tristi e temporanee soluzioni portate avanti da una politica economica fatta di assistenzialismo e di fabbriche causa di tumori. Dobbiamo puntare alla rivalutazione delle bellezze della zona, alle bonifiche dei terreni delle industrie e delle miniere, alla riscoperta dell’artigianato e delle pratiche agro-pastorali, ma anche alla possibile creazione di un nuovo distretto culturale (Iglesias si è anche candidata a Capitale Italiana della Cultura 2018). Questi sono gli obiettivi del collettivo Giuseppefraugallery ma anche della Scuola Civica. The Boys and Kifer è un aiuto supplementare, ma serve prima di tutto un cambiamento interno e intenzionale da parte della comunità, per far sì che gli eventi culturali portino a un vero e proprio rilancio della zona.

/77

www.viafarini.org
http://progetto77.tumblr.com/

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/77 è un collettivo di artisti composto da Giulia Ratti, Alessandro Moroni, Nicole Colombo e Luca Loreti. L'intento del collettivo è di realizzare collaborazioni e progetti che coinvolgano giovani artisti, senza esperienze espositive importanti alle spalle. Il nostro interesse principale…

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