New York Beat. Trump, Pipilotti Rist e l’Italia in trasferta

Dall’inevitabile effetto Trump sul panorama creativo newyorkese, con un’attenzione altissima ai delicati temi dei flussi migratori e dei diritti femminili, alla mostra di Pipillotti Rist al New Museum fino a un’esperienza 100% italiana nel cuore dell’Hudson Valley. Ecco i nuovi beat dalla Grande Mela.

EFFETTO TRUMP
L’illusione di vivere in una sorta di città-stato dal sapore europeo è caduta malamente con le ultime elezioni presidenziali: per i prossimi 4 anni abitare qui significherà ricordarsi ogni giorno che si è parte di una società a maggioranza conservatrice, riflesso del Midwest, incarnata dall’uomo bianco, ricco e arrogante, che ha fatto i soldi proprio a Manhattan, che usa un linguaggio denigratorio nei confronti delle minoranze, che custodisce armi da fuoco in casa, e che, tra una lampada e l’altra, rimette in discussione il diritto delle donne a disporre del loro corpo. “New York non è L’America”...?
Io stessa, in quanto donna e immigrata (due parole abusate durante la campagna elettorale), ho visto mutare la percezione che avevo della città in cui ho deciso di trasferirmi e vivere. Gli italiani della mia generazione sono approdati numerosi su questa sponda del mondo non solo perché il Belpaese li aveva privati di un lavoro. L’immigrazione per noi ha rappresentato anche, e soprattutto, un fatto politico.
Di là, l’impossibilità di cambiare un sistema integralmente corrotto, la mancanza di informazione, il pessimismo generale e l’inaccessibilità a posizioni di potere ci stavano logorando nell’immobilismo sociale. Di qua, nonostante le infinite contraddizioni del sistema americano, l’inclusione e la spinta propulsiva verso il cambiamento che Obama ha tracciato nel corso degli ultimi otto anni ci hanno reso parte attiva di questo Nuovo Mondo molto più che a casa nostra. Sentiamo la nostra voce in mezzo al coro. E se dopo la vittoria di Trump il primo istinto è stato quello di fare le valige e andarsene, ancora una volta, la risposta unanime e agguerritissima della élite culturale newyorkese che cavalca il socialismo di Sanders ci ha conquistato e travolto nuovamente.

Donald Trump secondo Barbara Kruger

Donald Trump secondo Barbara Kruger

Lo shock iniziale e il silenzio funereo per strada il giorno dopo le elezioni si sono infatti tradotti in una diffusa presa di coscienza e responsabilizzazione che a oggi non sembra abbassare la guardia.
Ci si scambia informazioni alle inaugurazioni, si cercano alleati sui social media, sorgono gruppi di creativi e attivisti che preparano la resistenza di lungo periodo. I giornali di settore, messi sotto accusa per aver esasperato, seppur in negativo, la popolarità del candidato repubblicano (ricordiamo per esempio la copertina Loser del New York Magazine firmata da Barbara Kruger) non hanno cambiato i toni e continuano a fare opposizione.
Ovviamente non mancano le iniziative dei singoli in cerca di gloria. Tra i tanti, lo street artist Hanksy ha messo a disposizione online il disegno del suo muro Dumb Trump, divenuto uno dei simboli durante le proteste, Annette Lemieux ha chiesto di re-installare al contrario la sua opera Left Right Left Right esposta al Whitney, Brian Andrew Whiteley ha eretto una tomba in Central Park che riporta la scritta Make America Hate Again e il critico d’arte Jerry Saltz istiga ogni giorno alla ribellione con post su Facebook volutamente al limite della volgarità. Mentre si aspetta il 21 gennaio per la marcia delle donne a Washington D.C., un evento che richiama quello del 1963, quando Martin Luther King pronunciò il suo famoso discorso “I have a dream”.

Pipilotti Rist – Pixel Forest - exhibition view at New Museum, New York 2016

Pipilotti Rist – Pixel Forest – exhibition view at New Museum, New York 2016

PIPILOTTI RIST AL NEW MUSEUM
Restando in tema femminile, si entra a occhi aperti nel mondo acquatico e pixelato di Pipilotti Rist. Un parto filmato in diretta, una foresta di luci glamour da attraversare, un movimento vorticoso di camera che passa dalla bocca per poi uscire dall’ano, in un loop infinito; una pseudo (o psyco) Dorothy del Mago di Oz in versione Arancia Meccanica che fracassa, con eleganza e sotto gli occhi compiacenti di una poliziotta, i finestrini delle automobili parcheggiate per strada.
Ma “come si può unire il mondo davanti e dietro le palpebre?” si domanda la curatrice Margot Norton nel testo della mostra Pipilotti Rist: Pixel Forest al New Museum. Cercando di dissolvere le barriere tra esperienze esteriori e quelle interiori, individuali e collettive, Norton sottolinea come il lavoro dell’artista svizzera sia costantemente teso verso l’elaborazione di un linguaggio in cui la biologia possa (finalmente) sposarsi con l’elettronica e la tecnologia: corpo e natura per raccontare, musica e una precisa tecnica video per emozionare, in un continuum bambinesco-soave-erotico-isterico squisitamente femminile.

Pipilotti Rist – Pixel Forest - exhibition view at New Museum, New York 2016

Pipilotti Rist – Pixel Forest – exhibition view at New Museum, New York 2016

Il climax del percorso espositivo, che raccoglie trent’anni di produzione di Pipillotti, si ritrova nell’inedito 4th Floor To Mildness, in cui le parole di Norton sembrano trovare un corrispettivo visivo-esperienziale. Il grande ascensore che entra direttamente nella sala espositiva, solitamente pensato da Massimiliano Gioni come un sipario che si apre sulle opere, questa volta ci lascia in un limbo buio e stretto, in cui davanti a noi una tenda nera impedisce la visione, mentre le scritte al neon “help me” e “trust me”, a destra e a sinistra, indicano due opposte direzioni da percorrere per accedere all’ambiente retrostante. Qui, siamo invitati a togliere le scarpe, sdraiarci vicino ad altri spettatori su letti singoli o matrimoniali e guardare i video proiettati su due schermi dalla forma sinuosa, che ricorda le ninfee di Monet. Un piede, una mano grinzosa, un capezzolo inturgidito, l’occhio celeste e le foglie verdi tra le cui fessure filtra e abbaglia la luce del sole lontano, sopra lo schermo d’acqua e poi a pelo d’acqua, in un dentro/fuori che sovverte ogni prospettiva razionale. Le onde rimescolano bollicine di ossigeno, vegetazione, sabbia e terra, mentre la musica struggente di Anja Plaschg accompagna la visione collettiva e il viaggio individuale.

Ornaghi & Prestinari, Mattino

Ornaghi & Prestinari, Mattino

ORNAGHI & PRESTINARI
Primo passo allo scoperto per Magazzino, lo spazio espositivo che, forte della Collezione Nancy Olnick e Giorgio Spanu, il prossimo anno porterà l’arte italiana del dopoguerra e contemporanea nel distretto culturale in espansione dell’Hudson Valley. Puntando sulla collaborazione con la Galleria Continua, Magazzino si presenta al pubblico americano con i giovanissimi Ornaghi&Prestinari alla Casa Italiana Zerilli Marimò.
Mattino è la prima opera in mostra. Si tratta di una moka in alabastro, cristallizzazione di un lavoro del 2009 nel quale una macchinetta del caffè era mantenuta in costante stato di ebollizione. Oggetto simbolo dell’Italia e della quotidianità, è appoggiata su una libreria ripresa dal modello di Gio Ponti per la sua casa di Via Dezzi a Milano e ci invita a cogliere tutti gli ingredienti necessari a comprendere le opere successive.

Ornaghi & Prestinari - exhibition view at Casa Italiana Zerilli Marimò, New York 2016

Ornaghi & Prestinari – exhibition view at Casa Italiana Zerilli Marimò, New York 2016

Inscindibili, Ornaghi&Prestinari studiano e si appropriano di tecniche differenti per elaborarle in manufatti artistici realizzati all’interno della loro dimensione delicata e intima. In Grigio Lieve utilizzano un software del mondo dell’architettura per creare delle sculture a partire dalle ombre degli oggetti presenti in un quadro di Giorgio Morandi, mentre in Appunti risalgono al quattrocentesco Libro Dell’Arte di Cennino Cennini per realizzare dei quadri con tavole di legno e foglie d’argento incise con un cacciavite a stella. “È la loro prima mostra negli Stati Uniti, è la prima mostra off site che sponsorizziamo come Magazzino prima dell’apertura della warehouse upstate New York”, ci spiega Vittorio Calabrese, curatore della collezione Nancy Olnick e Giorgio Spanu. “Il tutto all’interno di un discorso di promozione dell’arte italiana più giovane, con un intervento molto conscio di quello che è lo spazio domestico ma anche accademico della Casa Italiana”. Solo l’inizio, dunque, di una politica culturale che si appoggia ai grandi nomi del passato per aprire le porte al mondo degli emergenti.

Veronica Santi

New York // fino al 15 gennaio 2017
Pipilotti Rist: Pixel Forest
a cura di Massimiliano Gioni, Margot Norton, Helga Christoffersen
NEW MUSEUM
235 Bowery
www.newmuseum.org

New York // fino al 9 dicembre 2016
Ornaghi & Prestinari
a cura di Vittorio Calabrese
CASA ITALIANA ZERILLI MARIMÒ
24 West 12th Street
www.casaitaliananyu.org

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Veronica Santi

Veronica Santi

Laureata in Scienze Politiche e in Storia dell’Arte, Veronica Santi è critico d’arte, curatrice, scrittrice, autrice e regista di film documentari. Nel 2014 ha fondato Off Site Art, un'associazione di arte pubblica con sede all'Aquila. È Program Director per ArtBridge,…

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