Gian Maria Tosatti alla prima in un museo. In anteprima immagini e video della mostra napoletana al Madre
Opere-meccanismi estetici ed emotivi, che nelle bianche e asettiche pareti museali riescono a riverberare la propria valenza simbolica e proiettiva
“E allora ti rimangi la sfiducia nell’umanità”, e incominci a pensare che può esserci qualcosa capace di farle un’iniezione che la salverà: l’arte. Luoghi-installazioni come dispositivi attivanti performance emotive e proiezioni esperienziali nel fruitore, e una intera città, con la sua storia e cultura, trasformata in materia prima. Rivalutata e rianimata dall’intervento dell’artista, spesso sfociante in dinamiche relazionali col contesto territoriale ospitante. Non si è abituati a vedere il lavoro di Gian Maria Tosatti (Roma, 1980) in un museo o spazio costituzionalmente dedicato all’arte, ma in angoli urbani dismessi, abbandonati. Eppure la sfida – e rischio, come per ammissione dello stesso artista – di Sette Stagioni dello Spirito, prima mostra dedicata all’artista in una istituzione pubblica italiana presentata questa mattina in anteprima alla stampa al Madre, è un agone ben superato, di cui Artribune vuol farvi subito gustare alcuni scatti, nelle ore a ridosso dell’inaugurazione, insieme con una videointervista a caldo all’artista. Non soffocano in formalismo, né marciscono in cerebralismo le sue opere-meccanismi estetici ed emotivi, nelle bianche e asettiche pareti museali, ma riescono a riverberare la propria valenza simbolica e proiettiva, allargandola fino ad allegoria quasi dantesca.
DIDASCALIE-DIARIO
È la ferma intuizione curatoriale di Eugenio Viola ad evitare la trappola della mera riproposizione unitaria del progetto diacronico dell’artista, che in sette installazioni ambientali – dal 2013 a oggi – ha interessato altrettanti angoli dimenticati e controversi partenopei. Didascalie-diario, un lungo film ricostruente l’intero progetto e materiali progettuali capaci di inserirsi fluidamente nell’apparato espositivo come opere a sé portano infatti a un livello ulteriore, di intimo contatto col backstage creativo dell’artista, quella che rischiava di essere fuorviante cristallizzazione di un processo espressivo che vive in e di una dimensione interattiva ed esperienziale. Una sorta di performance indotta, ma questa volta del fruitore per via proiettiva, e non dell’artista. Del resto, le pratiche performative e l’intimo contatto col corpo e la materia esistenziale sono da sempre al centro della ricerca di Eugenio Viola, da febbraio – giovane eccellenza curatoriale italiana esportata oltreoceano. Come scrivevamo infatti nella precedente news, la stessa anteprima stampa della mostra è stata occasione per dare notizia della sua nomina a Senior Curator presso PICA – Perth Institute of Contemporary Arts di Perth (Australia). Ma secondo quali linee l’uscente Curator at Large (dal 2013 al 2016) del Madre trasferirà la propria indagine in un diverso contesto, e quali le differenze da lui riscontrate tra Europa e Australia nella ricezione delle pratiche performative al centro della sua analisi? Tutto questo sempre nel video di Artribune, in una chiacchierata in medias res col curatore sul nuovo progetto che lo attende…
– Diana Gianquitto
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