Osservatorio curatori. Alberta Romano
Prosegue l’indagine delle nuove leve della curatela in Italia. Questa volta è il turno di Alberta Romano, pescarese classe 1991, critica e curatrice formatasi tra Milano, Istanbul e Berlino, con già diverse mostre all’attivo, tra cui “Exhibition of the year 2016”, tenutasi presso t-space, e la serie di mostre “Xenia”.
Quando sono nata io, Internet era lento. Si accendeva il computer in maniera quasi ritualistica, lo si osservava caricare, ascoltando i suoi suoni profondi, il più delle volte, fantasticando su possibili lanci missilistici. Con la stessa aspettativa si attendeva il caricamento di una singola schermata, che a quei tempi non si chiamava neppure schermata, ma forse semplicemente sito. Non ricordo cosa si cercasse e tanto meno perché non lo si facesse altrove, eppure si rimaneva lì, curiosi, sicuramente annoiati, ma fiduciosi.
Oggi tutto questo è cambiato. “I miss my pre-Internet brain”, per citare Douglas Coupland. La velocità con la quale fruiamo delle informazioni corrisponde alla velocità della fibra e con essa assistiamo a un accumulo e a una confusione semantica ed estetica senza precedenti. Si assiste, soddisfatti e sempre più assuefatti, a una sovrapposizione spesso immotivata di diversi campi della realtà e della produzione umana. Questa apertura, tuttavia, affascina e stimola chi la osserva e ha il merito di risvegliare lo spirito critico in chi ne è coinvolto. L’Opera aperta di Umberto Eco è oggi più aperta che mai e l’osservazione della confusione mediatica che ci circonda funge, sempre di più, da “tirocinio della sensibilità e dell’immaginazione”.
Per me, quella del post Internet non è una semplice fascinazione nei confronti di un’estetica cool e patinata, ma corrisponde a un interesse antropologico verso l’apprendimento umano e il suo essere soggetto a cambiamenti costanti. Le arti visive ci offrono uno spaccato critico della realtà in cui viviamo e mi ha sempre affascinato il modo in cui gli artisti riescano a esercitare criticamente il loro sguardo aiutandoci a condurre delle riflessioni.
Inizialmente, condizionata da una devozione nei confronti di Francesco Vezzoli, credevo molto nel binomio cultura elevata/cultura trash-pop, poi mi sono accorta che ad accompagnare e influenzare la mia formazione ci sono state molte più realtà difficilmente archiviabili in una o nell’altra categoria. Credo che il mio interesse analitico derivi proprio da questa confusione.
La facoltà di Storia dell’Arte alla Sapienza di Roma, la Bilgi Univerity di Istanbul e un po’ anche l’Accademia di Brera sono stati gli strumenti di studio più importanti che hanno gettato le basi per la mia formazione e per le mie ricerche. Le esperienze formative più alte sono state quelle con Claudio Guenzani e Jennifer Chert, che mi hanno permesso di comprendere, a fondo, quali fossero le cose importanti in questo marasma contemporaneo. Da tutto ciò è nata Exhibition of the year 2016, la mostra che ho curato presso t-space e che mi ha permesso di approfondire temi interessanti e multi-sfaccettati, con il supporto di tre promettenti giovani artisti. Ha fatto seguito Campo alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e ho già alcuni progetti in cantiere per l’anno a venire, come l’organizzazione della terza edizione di Xenia.
a cura di Dario Moalli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #33
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