Sintesi e teatralità: cosa mostra Ai Weiwei?

Palazzo Strozzi, Firenze – fino al 22 gennaio 2017. Terzo e ultimo appuntamento con le riflessioni degli studenti del corso di Storia della fotografia tenuto da Tiziana Serena presso l’Università degli Studi di Firenze (Dipartimento SAGAS). In collaborazione con la Fondazione Palazzo Strozzi gli allievi hanno visitato la mostra “Ai Weiwei. Libero”, approfondendone i contenuti con il direttore della Fondazione Arturo Galansino.

Ridurre la molteplicità degli interessi di Ai Weiwei (Pechino, 1957) a un’etichetta univoca è tanto arduo quanto fuori luogo. La mostra a Palazzo Strozzi ben evidenzia le numerose facce del poliedro della carriera dell’artista e personaggio tra i più discussi degli ultimi tempi. Architetto, artista, blogger, attivista, critico sociale, tutti appellativi che non lo inquadrano con soddisfacente completezza, soffocando di volta in volta gli altri aspetti della sua personalità. Esiste però un leitmotiv che accomuna tutte le attività di Ai Weiwei e che la mostra fiorentina non nasconde: l’abilità comunicativa grazie alla quale egli riesce a donare il massimo impatto visivo ed emotivo a ogni sua azione. L’allestimento pensato per la mostra esalta, infatti, il fine comunicativo perseguito dall’artista, perché pone lo spettatore di fronte a poche opere per sala, le quali, pur nelle forme dell’isolamento espositivo, riescono a ribaltare la contemplazione estetica tradizionale per divenire arte “viva”, agente di trasformazione del mondo. Se Ai Weiwei è innanzitutto comunicazione, per raggiungere tale obbiettivo egli opera due procedimenti riscontrabili in tutti i suoi lavori, dalle installazioni agli scatti fotografici, dalle performance filmate all’attività in rete. L’artista individua il tema da trattare e opera una sintesi dei suoi tratti principali fino a ottenere un unico gesto, quando si tratta di una performance, un unico oggetto, quando invece si tratta di un’opera di scultura. Il tema di partenza, sia esso un avvenimento che ha segnato la sua vita o uno dei grandi problemi del mondo moderno, come può essere quello dei rifugiati, o ancora una critica al potere o alle istituzioni, viene spogliato di tutte le componenti aggiuntive, di tutti gli elementi di contorno e ridotto all’essenziale. In altre parole, viene individuato un simbolo che nella visione dell’artista racchiuda tutta la complessità del tema preso in esame. A questo punto Ai Weiwei interviene con un processo di spettacolarizzazione attraverso il quale l’opera si fa di volta in volta colorata, sovradimensionata, stravagante, accattivante e provocatoria. In una parola: eloquente. Quel simbolo messo in scena raggiunge lo spettatore e lo colpisce in profondità. Se l’opera fa discutere, se l’azione di Ai Weiwei desta scandalo, se nessuna opera è passata inosservata, allora l’artista ha raggiunto il suo scopo, ha costretto la gente a pensare, a schierarsi, a prendere coscienza, anche a costo di apparire un personaggio furbo e approfittatore come certa stampa lo ha definito.

Ai Weiwei. Libero. Exhibition view at Palazzo Strozzi, Firenze 2016. Courtesy of Fondazione Palazzo Strozzi. Photo Alessandro Moggi

Ai Weiwei. Libero. Exhibition view at Palazzo Strozzi, Firenze 2016. Courtesy of Fondazione Palazzo Strozzi. Photo Alessandro Moggi

ARTE E POLITICA

La retrospettiva di Palazzo Strozzi ci consente, dunque, di tracciare un profilo di oltre trent’anni di carriera e di capire cosa l’artista ha scelto di mostrare: egli ha gonfiato dei simboli, li ha messi in scena per “parlare all’io dell’osservatore, incluse le sue risorse emozionali” (Buergel, 2016). Il titolo Libero concentra in un’unica parola la concezione artistica di Ai Weiwei, che egli stesso spiegava in un intervento del settembre 2006 sul suo blog: “La creatività è il potere di rifiutare il passato, cambiare lo status quo e cercare nuovo potenziale. […] La creatività è forse soprattutto il potere di agire”. Con tali presupposti, l’arte non può che essere viva partecipazione a quanto succede nel mondo, attivismo, ribellione, critica, politica. Un interessante saggio di William Callahan ben analizza la sovrapposizione di arte e politica che caratterizza la vita dell’artista. Callahan esamina l’opera di Ai Weiwei in termini di ribelle prima e giullare poi. Ribelle in quanto l’artista attacca senza mezzi termini il regime dittatoriale cinese e, per farlo, ricorre alla rete: al blog fino al maggio 2009, quando sarà oscurato dal governo, e a Twitter. Nel XXI secolo i social network sono gli strumenti che forniscono la risposta più adeguata alle sue esigenze comunicative. Un tweet del presidente cinese Xi Jinping in cui si leggeva “la Cina sogna” ha trovato immediata risposta in un tweet di Ai Weiwei in cui l’artista sosteneva di non vedere altro che un incubo per il proprio Paese. L’aspetto più ribelle e “serio” procede di pari passo con il divertimento licenzioso e provocatorio di Ai che si manifesta nel canto, nel ballo, nello scherzo, nello spogliarsi. Study of Perspective è uno dei frutti di questo suo modo di vivere che richiama il modus operandi del giullare pre-moderno europeo e cinese. Study of Perspective è un’opera che si protrae nel tempo dal 1995, quando per la prima volta l’artista mostrò il dito medio a piazza Tienanmen a Pechino. Ai Weiwei esprime il suo disappunto nei confronti del potere, delle istituzioni, della cultura con l’eloquente gesto del dito fotografato nella medesima posizione davanti a luoghi diversi: la Torre Eiffel, il Louvre, il Colosseo, la Casa Bianca, ecc. Per la mostra di Firenze realizza una immagine nuova davanti a Palazzo Strozzi. Ai Weiwei sceglie il gesto profanatorio del dito medio quale simbolo immediato di opposizione e ne accresce l’eloquenza ripetendo il gesto per tutta la serie di fotografie disposte in due sale di Palazzo Strozzi. La sintesi di un gesto semplice e la teatralità dell’impostazione del braccio che prevale sulla località relegata sullo sfondo, attirano l’attenzione dell’osservatore affinché metta in discussione il proprio atteggiamento nei confronti di governi e istituzioni. Strettamente legata alla serie è la carta da parati Finger in cui il gesto, plateale e diretto, diviene ossessivo motivo decorativo riproposto in combinazioni regolari e ritmiche.

SINTESI E SPETTACOLARIZZAZIONE

I processi di sintesi e di spettacolarizzazione ritornano anche in lavori che hanno richiesto il coinvolgimento di più persone. Nel 2007, ad esempio, per Documenta 12, l’artista ha creato Fairytale, un progetto che prevedeva il viaggio di 1001 visitatori cinesi nella città tedesca. Con una inversione della tradizionale fruizione dell’opera d’arte, che è sempre stata convenzionalmente mostrata al visitatore che osserva, in Fairytale i visitatori diventano l’opera d’arte. L’artista scelse i visitatori tra coloro i quali avrebbero forse avuto meno possibilità di viaggiare all’estero, li riunì in gruppi di duecento e fece coincidere il loro soggiorno in città con l’esposizione di Kassel. Quasi mai i visitatori furono avvistati nel luogo della mostra perché Ai Weiwei li aveva invitati a muoversi liberamente in città, documentando le loro esperienze individuali con interviste, fotografie, riprese video. Essi decidevano come spendere il loro tempo, dove andare, cosa fare e veniva dato loro nient’altro che un braccialetto per accedere all’esposizione. Nel luogo vero e proprio di Documenta, Ai collocò, invece, 1001 sedie della Dinastia Qing, fatte arrivare dalla Cina. Le sedie sottolineano l’invisibile presenza dei visitatori cinesi che costituivano l’opera stessa. Con questo lavoro l’artista ha stimolato riflessioni su diversi temi, dal materiale umano alla vita pubblica cinese, dalla discussione sulla presenza di regole al problema dell’identità al dualismo visitatore-sedia. Ma il procedimento di base è il medesimo: la “non presenza” dei 1001 visitatori cinesi necessitava di un simbolo che ne rendesse testimonianza. E quale migliore immagine di una sedia vuota, per comunicare il suo messaggio? Le sedie poi, disposte dall’artista in maniera strategica negli ambienti espositivi, sono preziosi oggetti antichi lavorati in legno. Fin dal suo ritorno in Cina dagli Stati Uniti nel 1993, Ai Weiwei dimostra un grande interesse per l’antico e gli oggetti d’antiquariato.

Ai Weiwei, Grapes, 2013. Courtesy of Ai Weiwei Studio. Photo Alessandro Moggi

Ai Weiwei, Grapes, 2013. Courtesy of Ai Weiwei Studio. Photo Alessandro Moggi

FARE I CONTI CON IL PASSATO

La sala dal titolo Wood riunisce alcuni di questi lavori nei quali Ai reinterpreta la tradizione cinese dell’artigianato in legno fatta di armonia nelle proporzioni, di precisi incastri che non necessitano di chiodi o colla. Grapes è uno di questi: oltre trenta sgabelli disposti a incastro a formare una semisfera, sfidando la gravità. È fedele ai valori formali della tradizione, ma interviene su di essi, ne modifica talvolta la struttura fino a ottenere un oggetto simbolico nuovo, che, avendo ormai perso l’antico fine pratico, guadagna nuova dimensione spaziale e nuova vita. In tal senso la lezione di Marcel Duchamp e Andy Warhol risulta ben studiata e assimilata. Sul rapporto tra antico e moderno torneremo più avanti, perché è uno dei grandi temi affrontati dall’artista nel corso della sua carriera, che, in un contesto come quello del fiorentino Palazzo Strozzi, non poteva non trovare spazio. Nella stessa sala la vistosa carta da parati The Animal That Looks Like a Llama but is Actually an Alpaca ci ricorda una volta di più come l’arte di Ai non smetta mai i panni della dissidenza politica. E così le vicende che hanno marcato in maniera indelebile la vita dell’artista sono ridotte a simboli dorati, la cui ripetizione forma l’intricato motivo decorativo che anima la parete: telecamere di sorveglianza, il logo di Twitter, le catene, le manette che ricordano il suo periodo di detenzione nel 2011, l’alpaca che insieme al titolo richiama il gergo usato in Cina per sfuggire alla censura su Internet di cui egli stesso è stato vittima. Il blog tenuto tra il 2006 e il 2009, ha reso Ai Weiwei un personaggio pubblico anche in Occidente dove è divenuto uno dei più seguiti sui media. Il blog è stato per Ai anche lo strumento di crescita e maturazione che lo ha consacrato quale artista dissidente a tutti gli effetti, anche se il termine a lui non piace, liberandolo dall’etichetta di voce “tollerata” dalle autorità, avendo potuto prender parte al progetto del nuovo stadio per le Olimpiadi di Pechino 2008. Twitter e Instagram saranno l’ideale prosecuzione del blog, a testimonianza del massiccio utilizzo dei social network e della rete in generale, che nelle mani di Ai è soprattutto irriverente canale di dissenso. È, insomma, artista pienamente contemporaneo, personaggio scomodo e stravagante, che nella realtà moderna entra con il fragore delle sue azioni e l’esigenza di far sentire la propria voce dissonante, sempre soffocata quando Ai si è spinto ben oltre la “red line” imposta dal governo cinese.

TRADIZIONE E MODERNITÀ

Un tema con il quale l’artista si è più volte confrontato è il rapporto fra tradizione e modernità. È un rapporto ambivalente, consapevolmente ambiguo, che oscilla tra senso d’appartenenza e ribellione. L’oggetto selezionato come depositario della tradizione è il vaso, sul quale Ai Weiwei è intervenuto in diversi modi. La serie Han Dynasty Vases with Auto Paint della sala Vases è un’opera del 2014 in cui l’artista immerge vasi antichi della dinastia Han nella moderna vernice per carrozzeria. Il vaso antico viene così spogliato del suo valore storico e culturale e ne assume uno nuovo, quello di opera contemporanea. È l’esito di una sperimentazione cominciata negli Anni Novanta con vasi di terracotta e altri prodotti della tradizionale porcellana cinese. La celebre serie dei Coca-Cola Vases, il cui primo esemplare risale al 1994, fa riflettere sullo status del prodotto finale: è antico oppure no? L’immagine simbolica del vaso ritorna nella famosa performance del 1995 Dropping a Han Dynasty Urn, che prevede la distruzione di un’urna funeraria antica. Per la retrospettiva di Palazzo Strozzi la performance è rivissuta in tre scatti fotografici trasformati in altrettante immagini realizzate con i mattoncini Lego in collaborazione con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. Ai Weiwei è in piedi mentre, con espressione indifferente, lascia cadere davanti a sé il vaso che teneva in mano. Il gesto è ampio, plateale, teatralizzato come l’artista ci ha ormai abituato e denuncia, con grande efficacia, la barbarie messa in atto dal governo con la Rivoluzione culturale, quando ampie pagine dell’eredità storica cinese furono distrutte.
La spettacolare provocazione di Ai Weiwei ha suscitato reazioni polemiche feroci, soprattutto dovute a giudizi basati esclusivamente sull’installazione Reframe. I tanto criticati gommoni rossi, che incorniciano la facciata del palazzo, altro non sono che il risultato di un processo di sintesi – il gommone è l’emblema della condizione di profugo – e di enfatizzazione – non avrebbe avuto lo stesso impatto visivo se non fosse stata scelta la facciata come luogo espositivo.

Michele Paoletti

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