La materia, dentro. Anish Kapoor a Roma
Torna a Roma dopo dieci anni l’opera di uno degli artisti più influenti del pianeta. Anish Kapoor, celebre per le sue grandi installazioni a Londra, Chicago, New York, Parigi, Bilbao, Gerusalemme, presenta una personale al Macro di Via Nizza in cui esalta uno dei significati più profondi della sua opera. Mostrando quanto profondamente il corpo influenzi tutta la sua arte.
Sembrano urlare, lacerando lo spazio intorno. Espongono la sofferenza brutale delle carni vive, delle bende intrise che a stento arginano il sangue. I colori del corpo, carminio, rosso-blu, bianco, nero, si coagulano in brandelli sovrapposti, fasce muscolari e adipose che emergono fino a formare oggetti colossali, le cui definizioni ne esplicitano ulteriormente il rimando simbolico: Flayed (Scorticato), Hung (Appeso), Dissection (Dissezione), First Covering (Prima copertura), Unborn (Mai nato), Stench (Fetore), Inner Stuff (Materia interiore). Accanto a loro, la superficie nitida e circolare di uno specchio concavo dal colore degradante dal rosso cupo al nero: Mirror (Black to Red), nel cui profondo e oscuro riflesso capovolto l’osservatore si perde.
Due aspetti della materia e della sua fragilità. Sotto la miracolosa perfezione della forma si nasconde un altrettanto delicato e complesso sistema organico che leso, violato, ferito, lascia tracimare ora i suoi umori da una insanabile ferita aperta.
UN ARTISTA INTERNAZIONALE
La lacerazione di quella forma è presentata al Macro di Roma (col contributo, probabilmente decisivo, di grandi gallerie private internazionali) dall’artista anglo-asiatico Anish Kapoor (Bombay, 1954; vive a Londra), nato da padre indiano e madre ebrea irachena. Kapoor è autore di opere in equilibrio tra scultura e architettura, come la Arcelor Mittal Orbit di Londra, o installazioni urbane quali il Cloud Gate di Chicago. Nelle forme delle sue sculture biomorfe a grande scala si coglie la tensione della pelle, che spesso è una superficie specchiata sulla quale si riflettono il cielo e la città, come nello Sky Mirror di New York. Altrove, le sue installazioni mostrano solo la loro epidermide, tesa in una tensostruttura dalle dimensioni abnormi, dentro la quale si percorre lo spazio calandosi in una dimensione intrauterina, come al Grand Palais di Parigi o alla Tate Modern di Londra, oppure immergendosi in un paesaggio metafisico, come nel Dismembrement, Site I in Nuova Zelanda.
LA PERFEZIONE LACERATA
Al Macro, accanto alle opere in silicone, pigmento e tessuto, quali Internal Objects in Three Parts, esposto tra i Rembrandt del Rijksmuseum di Amsterdam, è collocata l’imponente struttura cubica di 7 metri di lato Sectional Body Preparing for Monadic Singularity, in mostra nel 2015 nel Parco della Reggia di Versailles.
Tra questi due estremi si sviluppa tutta la raccolta, zenit e azimut nel ciclo della materia, metafora della sofferenza che è all’origine della vita. Si tratta di una narrazione in cui si collegano il sentimento della vita, la ferita introdotta dalla sofferenza e il bisogno di uscire dalla forza annientante del dolore.
Da un lato Sectional Body è simbolo della sostanza vitale che sembra richiamare i labirinti ossei, gli intrichi vascolari o le ramificazioni cellulari, potenti strutture organiche dalla perfetta e solida costruzione, osservate dal loro interno e rese a dimensione monumentale, dall’altro Internal Objects mostra quella stessa materia offesa, squarciata, sbranata, ridotta a misera esposizione di orrore e trasformata in scarto ripugnante. Rimandando a vicende dolorose e terribili che connotano il nostro tempo, queste sculture tragiche offrono l’occasione di una catarsi, di una liberazione. Per il fatto stesso di dare forma, senza ritrarre lo sguardo, al terribile dell’esistenza umana come comune condizione.
Alessandro Iazeolla
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