Vedere l’inizio guardando la fine. Peter Buggenhout a Bologna
Palazzo De’ Toschi, Bologna – fino al 19 febbraio 2017. In bilico tra scultura e installazione, l’opera di Peter Buggenhout chiama in causa la dimensione della cupezza, ma anche quella della possibilità. Lasciando il campo libero all’interpretazione. Ecco la riflessione a margine del collega artista Luca Bertolo.
“No tricks, no cheats!”. Così risponde l’artista quando gli chiediamo se in fase di montaggio non abbia pensato a qualcosa da mettere sotto la sua opera, qualcosa che possa mitigare il brusco stacco tra quel colossale amalgama di detriti polverosi e il lucido, impeccabile pavimento in marmo della sala. Non un finto pavimento o uno zoccolo o cose del genere, magari solo un po’ di quella polvere, come se fosse caduta dall’opera.
L’artista in questione è Peter Buggenhout (Dendermonde, 1963) e la sua mostra è magnificamente allestita negli spazi della Banca di Bologna di Palazzo De’ Toschi. Nel centro dell’ampio salone si erge un’unica opera, intitolata come la mostra: The Blind leading the Blind (la parabola dei ciechi). È un’opera colossale, circa 10 metri di lunghezza per 6 di altezza. Ma il suo è un ingombro ancor più emotivo che fisico: metri cubi di assi, lamiere, tubi, sacchi, putrelle e altri materiali (così si suppone) – impossibili da identificare a causa dello spesso strato di polvere nera che li ricopre – producono un grande pathos. La sensazione è di trovarsi davanti a un gigantesco ammasso di detriti e macerie dovuti a un crollo o a un’esplosione. Sia come sia, a giudicare dall’untuosa coltre nera che le ricopre, queste sono tracce di una catastrofe avvenuta un bel po’ di tempo fa. Un futuro, forse, ma già passato.
TRA CUPEZZA E FUTURO
Girando attorno a questa scultura o installazione vengono in mente due dipinti: La zattera della Medusa (1818) di Théodore Gericault e Il mare di ghiaccio (1824) di Caspar David Friedrich. Quest’ultimo, conosciuto anche come Il naufragio della speranza, rappresenta un paesaggio artico disseminato di enormi lamine di ghiaccio che sembrano essere collassate una sull’altra. In lontananza, sulla destra, si scorge la poppa di una nave ormai quasi del tutto affondata, laddove sulla sinistra, incastrati nel ghiaccio, spuntano alcuni pezzi di legno, verosimilmente resti degli alberi e dello scafo.
The Blind leading the Blind emana cupezza, certo. Ma attenzione a non chiudere sbrigativamente la faccenda in quest’unico registro. Come racconta il curatore Simone Menegoi, quando inevitabilmente si arriva a parlare di cupezza Buggenhout spiega all’interlocutore di turno che per lui questi aggregati di macerie sono un po’ come le foglie morte, che cadono, si ammassano per terra e col tempo formano l’humus necessario affinché nasca nuova vita. Impossibile non pensare a Lao Tse. Esercizio piuttosto difficile ma stimolante quello che l’autore propone: vedere l’inizio guardando la fine. Prima di varcare la porta, Buggenhout si volta verso di noi me sorridendo: “La prossima volta farò cadere un po’ di polvere sul pavimento!”.
Luca Bertolo
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