Artisti da copertina. Parola a Nuvola Ravera
Nuovo appuntamento con le interviste agli autori che firmano le copertine di Artribune Magazine. Stavolta tocca a un’artista capace di fare tesoro delle proprie esperienze psichiche, integrandole in una poetica in costante evoluzione.
Nuvola Ravera (1984) studia Pittura a Genova, frequenta il biennio al Bauer e muove i primi passi nella fotografia di documentazione, collaborando, tra gli altri, con Giorgio Andreotta Calò. La sua ricerca prende avvio dalla sua famiglia, per esigenza psicoterapeutica, con un’opera work in progress dal titolo Erbario familiare. Soffre di stati ipnagogici, fenomeno che la guida nel formalizzare “stati non ordinari di coscienza” attraverso la fotografia e l’installazione, pensando che “una goccia d’acqua possa bucare la pietra”.
Che libri hai letto di recente?
Mi piace pensare che con i libri possa avvenire un incontro come con le persone. Ci sono molti testi con i quali è necessario ritrovarsi. I libri che mi hanno cercato ultimamente sono Volare via dal mondo di Greenaway, Il sogno creatore di Zambrano, Nadja di Breton, Gli imperdonabili di Campo. Tra quelli che vado a trovare come il più caro dei confidenti ci sono Libro di sogni di Borges, L’anima del mondo e il pensiero del cuore di Hillman e Distruzione del padre / Ricostruzione del padre di Bourgeois.
Che musica ascolti?
Non saprei isolare degli autori, piuttosto delle temperature d’animo e delle occasioni sia solitarie che condivise, in cui la musica fa da colonna sonora al vissuto. Davanti a questa domanda penso a John Cage che ci insegna il silenzio e quindi alla centralità dell’ascolto. Silence is sexy, cantavano gli Einstürzende Neubauten.
I luoghi che ti affascinano.
Quelli immaginari e mitologici in primis, i luoghi del sogno che vengono scoperti nella realtà. Così… Un tramonto in grigio metallico, all’orizzonte un colle di arbusti come rovine del pensiero degli alberi. Una casa identica a un’altra, ma con una stanza in più, in un’altra terra. Due guerrieri, qualcuno cammina dietro, sono entrambi stranieri qui. Attraversano tappeti che sono desideri di ordine imperialista. Da bambini non conoscevano nulla ma sentivano tutto. Uno spirito pettinava loro le lacrime prima di scomparire nel tempo cronico. Le orme cambiano colore in poche ore, al ritmo delle candele accese prima degli stermini. Anche se qualcuno va dove gira il vento. Contemplare l’aria consente di uscire dall’esilio.
Le pellicole più amate.
Blue di Jarman, Deserto rosso di Antonioni, Gummo di Korine, Le notti di Cabiria di Fellini, Hong Kong Express di Wong Kar-wai, Cave of Forgotten Dreams di Herzog e Lisbon Story di Wenders.
Artisti (nel senso più ampio del termine) guida.
Tutti coloro che incontro, che sanno essere onesti e genuini, con i quali instaurare un rapporto di fiducia e nutrirsi, in uno scambio profondo.
La tua ricerca è la prova inconfutabile di come storia personale e contesto incidano significativamente sul lavoro di un artista.
Mio padre diceva che la vita è una storia prima e dopo la nascita. Ho preso questa frase come un mantra per avere il coraggio di raccontare ogni giorno.
Hai mosso i tuoi primi passi come fotografa di documentazione, collaborando con alcuni artisti, tra cui Giorgio Andreotta Calò. Che cosa ti è rimasto di quel periodo?
Trovo ancora prezioso collaborare con altri artisti, immergendomi nei loro progetti. È un modo per conoscere da vicino l’anatomia del lavoro e fare comunità. È un ottimo insegnamento.
La tua prima opera si chiama Erbario familiare ed è nata da un’esigenza psicoterapeutica.
Jung sosteneva che conoscere le nostre paure è il miglior metodo per occuparsi delle paure degli altri. Per creare lo spazio adeguato per dialogare con immaginari altri, ho voluto esorcizzare un’eredità familiare ingombrante. Le storie curano, e trovare un ordine psichico è necessario per purificare il lavoro.
Soffri di allucinazioni ipnagogiche, fenomeno descritto anche nella letteratura e rappresentato in pittura.
Più che soffrire sono attraversata e coltivo volontariamente con stupore una serie di percezioni che portano una visione multiforme del reale. La fase ipnagogica si appoggia su quel terreno liminale tra veglia e sonno in cui è possibile accedere a stati non ordinari di coscienza. Seguo con fiducia i consigli che questo sub-terreno fa emergere, isolandone delle parti. È un modo per ricordare che anche la materia onirica, grezza e confusa, è una forma di luce.
Performance, fotografia, installazione spesso convivono nelle tue opere. Come?
Assecondando le rivelazioni del corpo e combinando i linguaggi finché non scatenano un’energia che permetta di sollecitare la vita interiore.
Hai fatto un Erasmus a Lipsia e sei stata in residenza alla Bevilacqua La Masa di Venezia. Che cosa conservi di quelle esperienze?
La Germania era molto fredda per una persona concepita d’estate, e in generale non so stare dentro le istituzioni e i regolamenti per me spesso bovini, ma è stato come ordinarsi di volare davanti a un burrone e spingersi a oltrepassarlo, volando.
Progetti a breve?
Acuire la vista, continuare la psicoterapia delle città che ho iniziato a Venezia.
Com’è nata l’immagine inedita che hai creato per la copertina di questo numero?
Pensando che una goccia d’acqua possa bucare la pietra.
– Daniele Perra
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #36
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