Critica viva (VI). Laboratorio Saccardi e la parodia italiana
Il prossimo aprile la Piazza Sant’Anna al Capo di Palermo accoglierà il monumento dedicato da Laboratorio Saccardi a due icone della parodia italiana, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Un’occasione per rinsaldare il necessario legame tra l’arte contemporanea e il tessuto urbano, sociale, in un’ottica partecipativa, ma anche per sfuggire alle facili etichette e riconquistare un barlume di autenticità.
È da un po’ di tempo che sto riflettendo – anche su queste pagine – su un’idea di neovernacolare italiano. Questa idea naturalmente non è solo mia, ma mi viene dalla considerazione delle ricerche di una serie di artisti che in questi anni faticosi ci stanno faticosamente lavorando su.
Quando per la prima volta ho visto il rendering del Monumento a Franco e Ciccio del Laboratorio Saccardi, ne volevo immediatamente sapere di più. Mi incuriosiva e mi affascinava. Adesso che l’opera sta per essere finalmente conclusa, possiedo anche più informazioni in merito – che condivido con voi.
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Il progetto, che è finanziato da GNV – Grandi Navi Veloci, non sarebbe mai esistito inoltre senza la collaborazione attiva di Laboriusa (che si è occupato della campagna di crowdfunding), di Ars Mediterranea, oltre che dell’intero quartiere Il Capo di Palermo – che da anni versa purtroppo in stato di degrado: in particolare, la piazza Sant’Anna al Capo in cui verrà collocato il monumento è semi-abbandonata – e del suo rappresentante, Ottavio Zacco.
In questo senso, il monumento (che verrà inaugurato l’8 aprile) fa parte di tutta quella schiera di progetti recenti che rispondono alle esigenze dei quartieri, delle città, dei paesi, dei territori. Progetti che sanno considerare integralmente i processi culturali e identitari, che sono orientati effettivamente dal criterio della responsabilità, e in cui il lavoro degli artisti è fondato sulla conoscenza diretta e approfondita del contesto materiale e immateriale di riferimento, al punto da diventare in qualche strano modo molto più che partecipativo: quasi un’estensione diretta di istanze provenienti dalla comunità, un’operazione collettiva nel senso più profondo e letterale dell’aggettivo.
Da un certo punto di vista, è come se tutta una serie di realtà (realtà no-profit, associazioni, progetti di innovazione sociale a base culturale) stesse tentando di supplire in maniera creativa alle carenze, divenute nel frattempo drammatiche, del settore pubblico. Non è un caso forse che proprio nel quindicennio di maggiore erosione dell’offerta artistica e culturale pubblica si sia sviluppato parallelamente una sorta di “arcipelago” di micro-utopie realizzate, localizzate quasi sempre in luoghi marginali e negletti della Penisola (per fare solo alcuni esempi: Palermo e Favara con Farm Cultural Park, in Sicilia; Napoli con i suoi tanti percorsi recenti di rinascita; Latronico con A Cielo Aperto e Matera 2019 in Basilicata; la San Vito dei Normanni di EX-FADDA e la Taranto di Taranto Opera Viva in Puglia; le Marche di Demanio Marittimo KM-278 a Marzocca di Senigallia; l’estremo Nord di Dolomiti Contemporanee).
Attraverso progetti di questo tipo, l’arte contemporanea italiana ha dunque l’occasione – forse unica – di ripensarsi e di riconfigurarsi su basi integralmente nuove. La funzione storica dell’arte in quest’epoca difficile e tumultuosa, così come in altre analoghe, è ricostruire la dimensione corrosa dello spazio pubblico e migliorare concretamente – senza consolare né commuovere – la vita quotidiana, individuale e collettiva. Riconquistando almeno un po’ della dignità perduta negli ultimi decenni. Come affermano infatti Vincenzo Profeta e Marco Leone Barone: “L’idea di un monumento a Franco Franchi e Ciccio Ingrassia ovvero Franco e Ciccio è un’idea condivisa, nel senso che era nell’aria, bastava catturarla, volava e vibrava tra gli atomi d’ossigeno della città di Palermo. Noi del Laboratorio Saccardi sono anni che la respiriamo: inutile dire che il duo comico ci ha colpito fin dall’infanzia, ma la vera operazione artistica è l’intervento sul territorio, l’idea di concepire finalmente un monumento che sia pubblico e popolare, che non sia mera e semplice arte contemporanea, anaffettiva, nichilista, dislocata dall’anima di chi in teoria ne è il fruitore”.
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Che cos’è in definitiva l’identità artistica e culturale?
Non qualcosa di “localistico” (o provinciale, come solo gli autentici provinciali sanno definire spregiativamente ciò che non comprendono, e di cui in fondo hanno un po’ paura) – in effetti non ci sarebbe neanche bisogno di specificarlo, ma oggi, nella situazione presente, questo bisogno purtroppo c’è eccome.
Nella (serissima) parodia italiana, affermo un nucleo resistente permanente radiante – ciò che sono. Affermo: “Io esisto, con tutte le mie storture, le mie sconnessioni, le mie incongruenze (e non potete farci niente, per quanto vi dispiaccia)”; “io sono qui: ora: ancora”. Questo hanno fatto sempre con genio e esattezza e naturalezza Franco Franchi e Ciccio Ingrassia nella propria arte, così come tanti altri autori degli ultimi decenni (artisti visivi, scrittori, registi, attori), alcuni dimenticati e rimossi, altri conosciuti spesso per i motivi sbagliati. (Tra l’altro, Leopardi stesso prima di tutti aveva capito che la parodia è l’unica modalità veramente moderna, e intimamente nostra, per dare efficacemente corpo alla metafisica e al mito).
Si potrebbe addirittura fare una storia della resistenza italiana alla subalternità del dopoguerra, attraverso tutto il secondo Novecento, e dell’affermazione di una propria inestinguibile, mediterranea originalità (che sempre poi rimanda a un’origine, una tradizione oscura e luminosissima, lontana e sempre presente, arcaica e iper-moderna), una storia artistica che parte almeno con Alberto Burri e che riconosce per esempio in Pino Pascali uno dei suoi protagonisti. (Che cosa sono, infatti, molti dei suoi lavori di metà Anni Sessanta se non anche “parodie” dell’arte americana più in voga in quel momento e al tempo stesso “sfide” lanciate a quel circuito e a quel sistema immaginario, sulla base di una tradizione propria, autoctona, orgogliosamente affermata e riconfigurata, incoerente e inassimilabile con il modello considerato allora “vincente”?)
Allora come oggi – con il Laboratorio Saccardi e con altri consapevoli autori italiani – la posta in gioco in fondo è sempre quella: sfuggire al prevedibile e al prescritto, al codificato (l’etichetta che qualcun altro ha stabilito per te, e in cui devi rientrare), per riattivare il tessuto circostante e la connessione – perduta chissà quando – dell’arte con il popolo.
Ritrovare cioè l’autenticità, la sincerità, l’umiltà (quella forma cocciuta di ingenuità “fuori moda, sorpassata, chiaramente, ancor prima dell’inizio […] retrograda, antiquata, ingenua, anacronistica” di cui parlava David Foster Wallace nel 1993) e scagliarle nel futuro.
Entrare a spinta nel futuro. Costruendolo possibilmente su premesse che dispiaceranno profondamente a coloro che – ancora adesso – se lo immaginano solo come un presente identico all’attuale, in attesa di accadere.
– Christian Caliandro
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