Il corpo nello spazio. Adrian Paci in galleria a Milano
Galleria kaufmann repetto, Milano — fino al 29 aprile 2017. L’artista albanese, a tre anni dall’ultima mostra in galleria, racconta come l’interazione tra uomo e spazio si trasformi attraverso dinamiche politiche e individuali. L’invito di Paci alla riflessione e al confronto rischia però di inibire i visitatori.
In occasione di miart e in concomitanza con la personale The Guardians ai Chiostri di Sant’Eustorgio, è stata presentata presso la galleria Kaufmann Reperto di Milano The people are missing, una mostra che porta alla luce la relazione tra politica, individualità e spazio. Adrian Paci sceglie come punto di partenza l’analisi del soggetto massivo, conducendo lo spettatore in un percorso che termina con lo studio del soggetto singolo. Il corpo collettivo ed enigmatico che occupa i grandi spazi urbani è quello in scena in Interregnum. Questo video mette insieme momenti estrapolati dalle celebrazioni di funerali di dittatori comunisti di varie nazionalità, recuperati in archivi e televisioni nazionali.
Il corpo di cui l’artista racconta, in questo caso, è quello politico, che agisce in sincrono con la volontà imposta dal regime. Con la sua morte, il leader lascia il posto a un altro potente protagonista della scena pubblica, il dolore, che muove la massa. Nella serie fotografica Malgrado Tutto, a lasciar parlare lo spazio sono le scritte sui muri delle celle di un carcere albanese: come in un diario, i segni raccontano la reclusione dei detenuti.
I LIMITI DEL PROGETTO
Adrian Paci avrebbe potuto proseguire su questa linea, continuando a suggerire al pubblico spazi e corpi, come avviene nella project room: una vecchia doccia a gasolio lascia cadere acqua nello spazio bianco. Nello spazio desolante, il nudo è assente ed è abilmente suscitato nell’immaginario di chi guarda. L’artista sceglie invece di avvicinarsi ancora di più ai visitatori, forse peccando di didascalismo. Calcando la mano sulla necessità di relazioni e di dialogo, crea uno spazio simile al teatro greco, con una doppia scalinata in legno bianco messa a disposizione del pubblico. Si tratta di un luogo reale che può essere usato per riposare, leggere o conversare.
Eppure, l’invito a un dialogo fisico e concreto, necessario in questo momento storico, è già chiaro nel resto dell’installazione: il visitatore è continuamente esortato a creare nel suo immaginario spazi enormi o piccoli, politici o intimi. L’artista non sembra tener conto della dimensione relazionale che si crea spontaneamente tra gli spettatori e l’installazione, ma desidera esplicitarla ancora di più. Lo spazio espositivo e l’effettiva occupazione che i corpi del pubblico attuano nella galleria è già di per sé un dialogo. La creazione di uno spazio di confronto, all’interno di uno spazio di confronto già di per sé funzionante, rende artificiosa l’interazione tra il pubblico e la scalinata.
– Carolina Mancini
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