Daniel Buren rinuncia a partecipare allo Skulpture Projekte. Ecco perché
Daniel Buren ha deciso di consegnare ad Artribune la lettera di risposta scritta a Michael Smith che lo invitava a partecipare al progetto Not Quiter Under_Ground, the official tattoo studio of Skulpture Projekte. In questo contesto l’artista di Chicago invitava alcuni colleghi a disegnare un tattoo da applicare sulla pelle di persone over 65.
“Lasciami dire che l’idea del tatuaggio è molto personale e certamente non ho nulla contro il desiderio di chiunque di averne uno o cento sul proprio corpo. Questo ha a che vedere con la libertà personale di ciascuno. Ognuno di noi è libero di fare ciò che vuole e desidera con il proprio corpo”. A parlare è Daniel Buren che proprio in questi giorni ha deciso di consegnare ad Artribune la propria decisione di non partecipare a Skulpture Projekte 2017, la kermesse che si svolge in Germania ogni dieci anni curata quest’anno dal fondatore Kasper König, e soprattutto al progetto Not Quiter Under_Ground, the official tattoo studio of Skulpture Projekte. A crearlo è Michael Smith, artista americano, nato a Chicago nel 1951, tra le più influenti figure dell’arte contemporanea negli Stati Uniti, che ha deciso di costruire per la manifestazione tedesca che inaugurerà la prossima estate (10 giugno – 1 ottobre) uno studio per tatuaggi perfettamente funzionante targettizzato però sugli over 65. Ogni “Senior” potrà infatti scegliere tra una selezione di modelli progettati da altrettanti artisti invitati da Smith e farsi realizzare un’opera d’arte su una parte del proprio corpo da tatuatori professionisti convocati per l’occasione dall’artista.
PROBLEMI ETICI E SOCIALI ALLA BASE DEL RIFIUTO
Ma Buren non ci sta. E decide di condividere con Artribune la risposta che ha dato al collega americano, ponendo alcuni problemi esistenziali e sociali, in quello che comunque si configura come un interessante dibattito culturale che oppone due posizioni e due tradizioni completamente differenti. “Tuttavia l’idea di applicare una forma sulla pelle di qualcuno provoca in me delle resistenze”, scrive infatti l’artista in una lettera a Smith, che lo esortava a inviare il proprio design. “Immagina se tutti accettassero di farsi tatuare come modo per costruire una collezione. Immagina se questa persona dopo essersi fatta tatuare cominci a pensare al proprio corpo come a qualcosa da preservare per le future generazioni e da ammirare come oggetto d’arte. Immagina quindi se a questo punto la persona in questione decidesse di farsi tagliare la parte del corpo tatuata e di farla esporre in un museo come un oggetto decorativo”. E, successivamente, Buren pone anche un problema storico, da non sottovalutare. “La possibilità che questo avvenga porta alla mia mente alcune dolorose memorie che non possono essere cancellate”. Ad esempio? “Una parte della mia famiglia è stata marchiata in Germania nei campi di concentramento nazisti durante la seconda guerra mondiale e questo pensiero mi rende insostenibile l’idea di intervenire anche con una sola linea sulla pelle di qualcuno. Anche se questa persona è d’accordo. (…) Partecipare per me significherebbe considerare il tuo concept privo di significato. E siccome lo prendo molto seriamente, anche se vicino ad un mood un po’ modaiolo, non lo ritengo né innocente, né simpatico, né un concept vuoto aderente alla natura delle mostre collettive, che spesso ai nostri giorni sono ormai fatte solo per il divertimento di fare una nuova mostra collettiva”.
– Santa Nastro
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