Vezzoli guarda la Rai alla Fondazione Prada. Viaggio catodico nell’Italia degli Anni ‘70
Presentata nella sede Rai di Via Asiago la grande mostra attesa a maggio negli spazi della Fondazione Prada di Milano. Progetto ambizioso, tra estetica dei media e indagine sociale, che vede Vezzoli alle prese con la produzione televisiva degli Anni Settanta, ibridata con l’arte contemporanea.
Un nuovo grande progetto per la Fondazione Prada e Francesco Vezzoli (Brescia, 1971), a 13 anni di distanza da quella Trilogia della Morte presentata negli spazi di via Fogazzaro, a Milano, prima del trasloco nella sede attuale in Largo Isarco: 19.000 metri quadri recuperati ed ampliati da Rem Khoolhas, fra edifici preesistenti e tre ampie strutture progettate ex novo.
Allora erano Pasolini e i programmi commerciali, il tragico e l’erotico, l’inquietudine esistenziale e la seduzione mediatica a incrociarsi nello sguardo dell’artista bresciano, tra le figure più interessanti emerse sulla scena italiana negli ultimi 20 anni, nonché tra i pochi nomi impostisi a livello internazionale.
Una fascinazione, quella per la TV, sviscerata già nei suoi meccanismi più radicalmente nazionalpopolari, fino al trash e all’impero di talk e reality show. Fascinazione che torna oggi, alimentata da una più netta urgenza storica, sociologica, generazionale. Un’indagine sul peso e il ruolo che la Rai ha avuto, per l’Italia e gli italiani, nel corso degli Anni Settanta, periodo fiammeggiante e controverso, incastrato tra l’idealismo dei Sessanta e l’edonismo degli Ottanta.
FONDAZIONE PRADA E RAI. UNA COPRODUZIONE
La mostra, che inaugurerà negli spazi monumentali di Prada il prossimo 9 maggio, nasce in forma di coproduzione Prada-Rai. Ed è proprio a Roma, nel quartier generale di Via Asiago, che è stata presentata oggi in presenza dell’artista, di Astrid Welter (dal team direttivo della Fondazione), di Monica Maggioni e Antonio Campo dell’Orto, rispettivamente Presidente e Direttore Generale Rai.
TV 70. Francesco Vezzoli guarda la Rai – con il contributo curatoriale di Cristiana Perrella e la consulenza scientifica di Marco Senaldi e Massimo Bernardini – racconta un decennio di tensioni forti, fra terrorismo, femminismo, austerity e complesse trasformazioni politiche-sociali, e lo fa sporgendosi verso quella caleidoscipica finestra d’immagini e di storie che fu la televisione di Stato, anch’essa in pieno regime di cambiamento: il colore, i nuovi format, i varietà serali e i salotti pomeridiani, ma anche le produzioni teatrali, le serie firmate da importanti registi, i documentari, le inchieste. Una Rai che univa intrattenimento e formazione, approfondimento e sperimentazione, ruolo pedagogico e incantesimo dell’evasione.
Vezzoli recupera tutto questo – come memoria innanzitutto intima e affettiva – e lo formalizza nei termini di una costruzione artistica, a volerne consacrare lo straordinario valore collettivo: la TV di quasi mezzo secolo fa come macchina di produzione identitaria e culturale. Un dispositivo della visione e un’antologia del sapere e del costume, che ha contribuito a generare un senso un senso d’appartenenza più o meno consapevole.
LA RAI COME IDENTITÀ NAZIONALE, FRA POP E AVANGUARDIA
“Da piccolo sono stato un bambino politico, politicizzato”. Così esordisce Vezzoli, col consueto piglio gentile e l’eloquio chiaro, denso di senso e di rimandi. “Arrivavo in spiaggia a Riccione a 4-5 anni con Repubblica, il Manifesto e Novella 2000 sotto il braccio. Le signore lì intorno mi guardavano come fossi stato un alieno. Pensavano che l’edicolante si fosse sbagliato, che io avessi chiesto, chessó, Topolino, e lui mi avesse rifilato tutt’altro. E invece no. La mia crescita infantile-adolescenziale è stata scissa fa due poli: il polo educativo paterno, con genitori colti che mi portavano alle mostre e ai concerti di De Gregori, e poi le nonne che come strumento educativo avevano la TV”. È la doppia anima di Francesco Vezzoli, capace di mixare con una grazia che è figlia dell’autenticità il cotè più erudito, lo sguardo profondo e la passione letteraria con la leggerezza, l’ebbrezza del disimpegno e l’attenzione per il pop. Dinamiche solo apparentemente distanti e sempre antropologicamente connesse, sul piano dell’estetica e della politica.
“Questa mostra è un tentativo urgente, psicanalitico, di trovare un compromesso storico“, aggiunge. “La Rai di quegli anni era molto più all’avanguardia ed exciting di quanto tutti avessero compreso. E spero di dimostrarlo con questa mostra, che si sviluppa attraverso due percorsi paralleli, uno artistico e uno televisivo”.
Divisa tra la Galleria Nord, la Galleria Sud e il nuovo Podium, l’esposizione trova un suo display ideale negli allestimenti studiati dallo studio parigino M/M (Mathias Augustyniak e Michael Amzalag) , articolandosi in tre sezioni: “Arte e Televisione”, introdotta dai Paesaggi TV (1970) di Mario Schifano, che riflette sull’impiego artistico del mezzo televisivo e cita programmi cult come Io e… e Come nasce un’opera d’arte, dedicati ad artisti e intellettuali a lavoro (Alighiero Boetti, Alberto Burri, Giorgio de Chirico, Renato Guttuso e Michelangelo Pistoletto), per arrivare a opere di autori come Giulio Paolini e Fabio Mauri; “Politica e Televisione”, che indaga l’informazione politica del tempo, frammentata e ossessivamente pervasiva, attraverso alcuni estratti dei telegiornali, a cui si aggiungono opere di Nanni Balestrini, Ketty La Rocca, Carla Accardi; “Intrattenimento e Televisione”, introdotta dall’installazione di Giosetta Fioroni La spia ottica (1968), incentrata sul limite ambiguo tra liberazione sessuale e consumo del corpo femminile, ribellione individuale e direzione ideologico-politica.
IL LIBRO. 900 PAGINE DI RIFLESSIONI TRA STORIA, CULTURA, COSTUME
“La cosa più inaspettata, bella e violenta”, conclude Vezzoli, citando La storia siamo noi di Francesco De Gregori, “è stato scoprire che la Rai è la nostra storia, l’orologio che ha scandito le ore delle nostre vite, delle nostre emozioni, dei nostri dolori, così come il digitale scandirà il tempo delle nuove generazioni”. E ammette, con candore, di essersi divertito moltissimo nel costruire il progetto, che è però anche un progetto “rischioso e denso, duro quando l’argomento lo richiede”. E soprattutto un’occasione di studio, un viaggio collettivo incontro alle proprie radici.
A questo scopo è stato concepito un libro-catalogo di oltre 900 pagine, uno strumento di approfondimento storico-critico che ospita saggi di autori legati al mondo dell’arte contemporanea, della scrittura televisiva, del giornalismo e della sociologia. Tra gli altri: Lucia Annunziata, Nicolas Bourriaud, Germano Celant, Carolyn Christov-Bakargiev, Carlo Freccero, Hans Ulrich Obrist, Letizia Ragaglia, Lynn B. Spiegel.
A chiusura della conferenza stampa una piccola anticipazione: un montaggio video, incluso nel percorso espositivo, che cuce frammenti televisivi pescati dalle immense Teche Rai. E scorrono, tra levità e charme, magia e nostalgia, Pasolini, Raffaella Carrà, Gaber, Mina, Alberto Lupo, Antonioni, Patty Pravo, Cicciolina, Rossellini, Comencini: volti, spezzoni, narrazioni, che sono memoria visiva, bagaglio culturale, avventura del gusto e inclinazione sentimentale dell’Italia a cavallo tra i due secoli.
– Helga Marsala
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