La factory di Filippo Feel Cavalca. Il filmmaker italiano lancia a New York il progetto Act One
Il progetto vuole offrire una opportunità di incontro ad artisti e creativi della scena newyorkese creando i supposti di una interazione. La piattaforma di Feel for Films viene qui raccontata in una intervista a Filippo Cavalca.
Approdato a New York nel 2015, il giovane filmmaker e musicista italiano Filippo Feel Cavalca (Parma, 1983) ha fondato la casa di produzione Feel For Films e in questi due anni si è distinto per aver prodotto una lunga serie di progetti legati al mondo del cinema, della fotografia e della musica. Forte dei risultati fino ad ora conseguiti Filippo è finalmente uscito allo scoperto con Act One, una serie di serate dedicate esclusivamente al popolo dell’entertainment e finalizzati alla realizzazione di progetti aperti alla contaminazione dei generi e delle diverse discipline artistiche. Un’opportunità per conoscere una realtà newyorkese appena nata e aperta a ricevere nuove proposte. Lo abbiamo intervistato per saperne qualcosa di più.
“Act One”: ci racconti di cosa si è trattato e come è andata?
Act One, come dice il termine, è il primo atto di un sogno che mi appartiene da diverso tempo. Con Feel For Films stiamo tentando di affiancare alle nostre produzioni e ai servizi creativi che offriamo, delle opportunità di incontro tra artisti della scena newyorchese, innumerevoli ed eccezionali per talento, noti e non, creando presupposi per l’interazione e momenti di scambio tra le discipline. La notte come presupposto, un luogo diverso ogni volta, un locale adibito alle arti performative ed espositive legate da un approccio il più possibile proiettato verso innovazione e provocazione.
Arte, musica e cinema: qual’è la tua formula per far incontrare queste realtà e a quali modelli culturali ti ispiri?
Nella mia natura di artista, come anche nella company che ho fondato, esiste di fondo la volontà di miscelare i linguaggi e i generi artistici, per creare un supporto eterogeneo all’industria cinematografica e dell’advertising. Avendo frequentato questi mondi per oltre quindici anni tra Europa e Stati Uniti e amando le diverse forme d’arte in egual maniera, io e il mio team abbiamo pochi limiti e molte aperture sul cosa e come creare, per rispondere alle esigenze specifiche di coloro che si rivolgono a noi.
Sul sito web della tua casa di produzione si legge che Feel For Films è una vera e propria factory, situata nell’East Village, nella quale registi e artisti con diversi background si incontrano per collaborare”. Ci spieghi meglio?
Le tre dimensioni simboleggiate dai tre colori delle facce del dado logo di Feel For Films sono il video, la fotografia e la musica. Diverse figure, appartenenti al mondo di queste tre arti, giocano ruoli decisivi nella produzione e si confrontano quotidianamente. Il sistema Factory newyorchese, sgretolandosi un po’ negli ultimi decenni a causa della trasformazione di alcune logiche di mercato che hanno reso le attività iper specifiche, tenta così di re-instaurarsi all’interno di Feel For Films, in quanto evoluzione di una fitta trama di passaggi tra diverse figure artistiche e professionali fluttuanti nell’orbita Cinema con cui ho la fortuna di collaborare ogni giorno. Più che di un mantra si tratta di una conseguenza di questo modo di lavorare.
Il video di Tony Houston che ha lanciato il singolo del tuo primo disco solista AdorAma è stato accolto con entusiasmo da Rai Cinema che, per la prima volta, ha acquistato i diritti di distribuzione di un video musicale, eleggendolo al rango di film. Come ti sembra che l’Italia possa guardare a questi nuovi progetti che intendi realizzare dopo “Act One”?
Osando mi capita di raccogliere cose che difficilmente avrei potuto prevedere. Nel caso di Tony Houston ho impostato la produzione affinché il music video raccontasse una storia e avesse un’impronta filmica. Aveva lo scopo di lanciare il mio album e mi piaceva avesse le stesse atmosfere e lo stesso concept di tutto il disco. Fabiana Cutrano di Rai Cinema in visita a New York ha avuto modo di guardarlo e si è subito detta interessata ad acquistarne i diritti di distribuzione per l’Italia. È sempre bello quando si lavora all’estero e il tuo Paese, anche se a distanza, ti ricompensa. Il background di noi che ci siamo formati in Italia resta vivo nelle cose che produciamo. Il video in particolare ha ricevuto una grande accoglienza sul web ed è stato di grande aiuto nel veicolare l’album. Sono felice che la maggiore entità distributiva del mio Paese abbia contribuito a promuovere questo progetto.
Come e quanta arte contemporanea credi possa rientrare in questa situazione che stai sviluppando?
Vorrei continuare a portare il mio contributo all’Arte Contemporanea facendo sì che possa sempre esprimere la sua funzione primaria: quella di educare alla visione e al diverso, provocando e amando. A volte sento gli spazi di alcune gallerie arte, non importa se a Milano o a NYC, come un po’ limitanti e banalmente finalizzati a un mero showcase, spesso anche infruttuoso dal punto di vista commerciale. Continuando a fare Arte, a esibirla e a valorizzare quella altrui, magari non ancora disvelata, mi prefiggo di mantenerla in una dimensione autentica e di contatto: l’Artista come epicentro, l’happening come modus.
– Veronica Santi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati