Manifesta Palermo. Intervista a Hedwig Fijen e a Ippolito Pestellini Laparelli
Dal 15 giugno 2018 al successivo 4 novembre prenderà il via la più lunga Manifesta di tutti i tempi (120 giorni di apertura al pubblico). La direttrice Hedwig Fijen e il suo mediatore creativo, l‘architetto Ippolito Pestellini Laparelli di OMA, approfondiscono le tematiche e le complessità legate al capoluogo siciliano, dopo la scorsa edizione a Zurigo.
La teutonica Hedwig Fijen, direttrice di Manifesta, è seduta di fronte al suo Creative Mediator, Ippolito Pestellini Laparelli, architetto che nel 2012 ha firmato il design della scenografie delle Rappresentazioni classiche della Fondazione Inda, collabora e ha collaborato con importanti istituzioni culturali anche extraeuropee: Biennale di Venezia, Fondazione Prada, Galleries Lafayette Paris, Hermitage San Pietroburgo, New Museum New York, Shenzen Hong Kong Biennale of Urbanism and architecture. Nel cortile della nuova sede di Galleria Pantaleone, a Milano, i due si lasciano intervistare assieme, toccando i medesimi punti. Alla scoperta di una Manifesta 12 che, per il momento, assomiglia indisputabilmente alla città ospite, Palermo. “Siamo esploratori”, conferma l’architetto siciliano, “ci stiamo addentrando in una geografia della città all’interno della quale la nozione di viaggio è più importante di quella di distretto”. “La geografia europea, inoltre”, sostiene Fijen, “è un dato mentale e spesso viene eclissato da fattori burocratici che impediscono di percepirne la storia”.
Quale prima risposta ha fornito la città di Palermo nei confronti di Manifesta?
Hedwig Fijen: Sono in contatto con Palermo dal 2013, perché ero advisor per la città, quando era candidata a Capitale della Cultura. Leoluca Orlando non era interessato a creare una mostra o a dar vita a un insieme di mostre, ma un progetto che funzionasse come un incubatore, una piattaforma per promuovere un cambiamento socio-culturale. In quel frangente mi ha chiesto di svolgere ricerche volte a comprendere che cosa Manifesta avrebbe rappresentato, avrebbe potuto significare per Palermo. Abbiamo cominciato a dibattere e ci siamo resi conto che sarebbe stato interessante utilizzare Manifesta come una sorta di protagonista che creasse nuove infrastrutture, un innesco che fungesse da movimento di rinascita, a partire dai cittadini. L’atteggiamento era del tipo: potreste aiutarci, potreste supportare la città, restituendola ai propri abitanti? Dunque è diventato necessario pensare: a chi appartiene realmente la città, chi la possiede? Spesso moltissimi residenti sono delusi dal clima politico e vogliono prendere posto in un futuro migliore. Questo è un punto di partenza e in tale contesto, all’interno di questa struttura complessa, c’è bisogno di una ricerca architettonica, urbanistica, demografica, sociale che normalmente i curatori di arte visuale possono portare avanti. Ed ecco perché abbiamo invitato OMA e Ippolito, per ri-pensare il modello della Biennale, perché pensiamo sia importante. Perché non siamo Kassel, non siamo Venezia e siamo nomadi, mai fissi in un solo Paese. Dunque risulta abbastanza logico pensare che un architetto e un urbanista possa implementare nuove narrative, ricerche, nuove metodologie che spesso necessitano di molto tempo. OMA sta terminando proprio questo periodo di ricerche che presenteremo il prossimo mese.
Ippolito Pestellini Laparelli: C’è stato molto entusiasmo da parte della città, per quanto è riguardato il lavoro svolto in una determinata area urbana. Abbiamo incontrato la maggior parte delle associazioni che hanno deciso di contribuire attivamente a Manifesta. Certamente sussistono le complicazioni fisiologiche alle quali si assiste ovunque nel mondo, quando si lavora in contesti complessi. Ma, giusto per proporre alcuni dati, fino a oggi, in questa prima fase di preparazione, abbiamo incontrato oltre cento persone di Palermo. Non solo artisti, ma anche ricercatori botanici, ex-detenuti, rappresentanti delle comunità migranti, persone che supportano e aiutano i migranti. Abbiamo cercato di individuare un campione di cittadini decisamente trasversale, raccogliendo molteplici livelli di lettura che attraversano la città in ogni direzione la si percorra, socialmente e urbanisticamente.
L’headquarter di Manifesta, in Piazza Magione, epicentro dal quale si propagheranno i percorsi della Biennale, quali sorprese ha riservato?
I. P. L.: Da architetto posso semplicemente osservare che nel cuore del quartiere arabo rimango ogni volta colpito dalla qualità degli edifici che insistono su quei pochi metri quadrati al centro di Palermo. Inoltre non bisogna dimenticare che è stato terreno di molteplici conflitti durante le epoche, tanto durante la Seconda Guerra Mondiale, quanto negli anni di accanimento della Mafia. Ritengo che entrambe le caratteristiche, storiche e urbanistiche, lo rendano il migliore epicentro per Manifesta 12.
H. F.: I nostri uffici attualmente si trovano, sempre in Piazza Magione, all’interno di una chiesa sconsacrata del 1400. Sono rimasta colpita dal fatto che, quasi ogni mattina, un’anziana signora bussi alla nostra porta e pretenda di pregare, in un luogo nel quale ha sempre seguito le funzioni, anche se attualmente è stato riconvertito. Trovo che lasciarla pregare, mentre noi lavoriamo, sia nuovamente parte di quel che stiamo cercando: integrazione e sincretismo.
Si può già intravedere fin da questa fase iniziale quale sarà il fine ultimo della dodicesima edizione di Manifesta?
H. F.: Non sarà solamente una Biennale dedicata alle arti visive, quella di Manifesta 12, ma sarà la realizzazione di un contratto sociale con la città e ritengo che il sindaco vorrà che noi lo si aiuti a creare strumenti, talvolta anche simbolici – perché non abbiamo un budget tale da poter pensare di rivitalizzare o gentrificare completamente Palermo. Ho lavorato in Russia, in Svizzera e in molti Paesi del mondo, ma non ho mai visto un sindaco così dedito e devoto come Leoluca Orlando. The Guardian ha scritto un articolo dal titolo From the Capital of Mafia to The Capital of Culture. La mia idea è che se Manifesta può aiutare a creare un nuovo modello di futuro basato su un sincretismo culturale, non solo per Palermo, ma anche per una sorta di Europa allargata, allora vorrà dire che avremo fatto un gran bel lavoro.
I. P. L.: In termini di metodologia, questa volta, ritengo che al posto di esserci una proposta curatoriale applicata, imposta a un luogo, l’approccio curatoriale provenga, ovvero venga estratto, dalla città che lo ospita. Il progetto è la città in se stessa. Al momento, quello che stiamo facendo è intercettare tutte quelle condizioni che rendano Palermo una sorta di blueprint ideale del Mediterraneo, un piano che restituisca un’integrità all’Europa. Migrazioni a breve e a lungo termine, trasformazioni che riguardano tutta la specie umana, cambiamenti climatici, impatto del turismo sulla città, tutte componenti che si verificano allo stesso tempo, inficiando Palermo molto pesantemente. Qui sussistono storie, sedi, testimonianze che rendono lo stato della città davvero evidente. La Biennale assumerà formalmente l’aspetto, la modalità di una diffusa agopuntura di progetti che innescheranno la città, così tanto che non sarà nemmeno più possibile chiamarla una mostra, provando, in realtà, a superare qualsiasi soglia di definizione di formati espositivi pre-esistenti.
La contemporaneità che Manifesta ha sempre ricercato si misurerà, a Palermo, dunque, con numerose sovrapposizioni di diverse epoche?
H. F.: Il modello secondo il quale l’Europa deve instaurare una sorta di meccanismo di sopravvivenza si basa sul fatto che non siamo più una sorta di società monoteistica. Quel che risulta davvero fantastico di Palermo, abitandola, camminando fra i palazzi e facendo esperienza della città, è riuscire a ritrovare millenni di storia condensata in una civiltà che offre ancora un’eredità culturale vastissima. E se devo immaginare il ruolo di Manifesta come mobilitazione nei confronti dei diritti umani, la dodicesima edizione utilizzerà il sincretismo per re-inventare una formula espositiva recuperando il passato di Palermo verso un nuovo modello di vivibilità per il futuro.
I. P. L.: Questo tema è più attuale che mai. Il sincretismo culturale attraversa Palermo, tanto nel tessuto urbano del centro, quanto in vecchi apparati industriali, quanto nei numerosi monumenti; ma esiste anche un vivo, immediato e reale sincretismo nella vita di tutti i giorni. Abbiamo incontrato la Comunità Tamil, ad esempio, che ha adottato Santa Rosalia come sua santa da adorare. È uno dei pochi luoghi in Europa all’interno dei quali questa sorta di inter-culturalità si manifesta sotto forma di co-azioni che succedono realmente e che realmente si inseriscono nella normalità, generando confronti diretti. Qui si fondono civilizzazioni e bagagli culturali di persone che fanno parte del DNA della città da oltre duemila anni.
Sono già stati selezionati artisti, a parte Liliana Moro, che ha curato l’immagine coordinata di Manifesta 12?
I. P. L.: Siamo alla fine di una fase di indagine, una fase preparatoria e solamente tra la seconda metà di aprile e i primi giorni di giugno finalizzeremo le tematiche curatoriali che verranno poste in gioco, sebbene, a loro volta, basate su questo primo stadio di analisi.
H. F.: Per il momento il team curatoriale che procederà con la selezione degli artisti medierà la propria posizione fra la scena dell’arte e la città, la gente, l’amministrazione pubblica e l’Europa nella sua accezione più larga. Normalmente, Manifesta, volendo fungere da intermediario, non ha mai chiesto a curatori russi, quando eravamo in Russia, oppure svizzeri, quando ci trovavamo a Zurigo, di prendere parte al team. Ma in questo caso l’esperienza di Ippolito, ben oltre la conoscenza della lingua e della cultura italiana, riunisce in sé architettura e arte contemporanea, diventando un pensatore di riferimento per la Biennale, nonché una figura di rinnovamento. Non si tratterà di disporre una mostra, quanto piuttosto di trasferire informazioni a partire da un percorso espositivo.
– Ginevra Bria
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