Tutto si trasforma. Martino Genchi a Venezia
Galleria Michela Rizzo, Venezia – fino al 30 aprile 2017. Martino Genchi approda negli spazi dell'ex birreria Dreher. Entità calde e fredde, rigide e morbide, naturali e non, compongono un universo ricco di rimandi multisensoriali.
“Se gli atomi che ci compongono si allineassero perfettamente a quelli di questa parete, allora potremmo compenetrarla, passarle attraverso. Ogni cosa nasconde altri territori. Sento una vitalità aliena incorporata negli oggetti di cui abbiamo popolato il mondo che per me è piena di mistero e di fascino“, così Martino Genchi (Milano, 1982) spiega i suoi quattro cicli di opere riuniti nella galleria sull’isola della Giudecca.
Genchi schiude la porta verso territori inesplorati, in cui le categorie barthesiane del freddo e del caldo si mescolano al “panta rei” eracliteo. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. L’incessante divenire della materia e le dinamiche della percezione visiva sono solo due elementi principali dell’intensa ricerca di questo giovane artista formatosi nella città lagunare. Per comprendere appieno la sua poetica è necessario pensare al suo ruolo come a quello di un gate keeper, un custode dell’accesso verso universi paralleli popolati da elementi non descrivibili appieno con le leggi della fisica terrestre né misurabili con la geometria euclidea. L’operazione di Genchi consiste nel dare forma a ciò che non sarebbe possibile vedere ed esperire direttamente. Solidifica la forza di un’azione altrimenti fruibile solo attraverso l’immaginazione. Fisicizza l’energia e restituisce tracce di una galassia così simile e dissimile alla nostra.
VISTA E UDITO
Lastre metalliche tirate in sospensione, pietre incastonate alle pareti, disegni vettoriali moltiplicati all’infinito ed enormi fari appoggiati al pavimento ricordano come tutti i corpi curvino lo spazio attorno a se stessi, deformando la superficie su cui poggiano o scorrono. Ogni cosa palpita di una vitalità interna, cambia forma e allo stesso tempo modifica ciò con cui entra in contatto. Sebbene fra tutti gli organi sensitivi sia la vista quello chiamato per primo in causa (sono infatti opere che non si toccano né ascoltano), è quasi impossibile non avvertire un rumore di fondo, simile a un rumore bianco, che si insinua e rimbalza a ritmo tra le sale. Genchi pone l’occhio sotto il controllo dell’udito.
Due film tornano alla mente: 2001: Odissea nello spazio (Kubrick, 1968), con i solenni monoliti, e Stalker (Tarkovskij, 1979), con la richiesta di ripensare il rapporto tra il conosciuto e il non. Come dice lo stesso Stalker nel film: “La zona è forse un sistema molto complesso di insidie… Non so cosa succede qui in assenza dell’uomo, ma non appena arriva qualcuno tutto comincia a muoversi… La zona in ogni momento è proprio come l’abbiamo creata noi, come il nostro stato d’animo… Ma quello che succede non dipende dalla zona, dipende da noi“.
– Eleonora Milner
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