Una mostra di Kapoor a Londra, nel giorno della Brexit. Lettura politica per le sue opere crude?
Anish Kapoor inaugura una grande personale negli spazi della Lisson Gallery, a Londra. Proprio nel giorno in cui la Brexit comincia a diventare realtà. Grande tensione in Inghilterra e tanti temi politico-sociali che agitano le piazze. Il nuovo lavoro di Kapoor va letto in questa cornice?
“Non sono veramente interessato all’agitprop, ma allo stesso tempo il lavoro non è scollegato”. Anish Kapoor ci tiene a non connotarsi come artista engagé, politicamente coinvolto e allineato al trend del momento, fra le battaglie sociali di Ai Weiwei e il moto anti-Trump che agita mondo dell’arte e dello spettacolo. Lui resta – anche nella sua attuale versione pulp – un artista classico. Innamorato della forma e concentrato sui processi estetici tout court.
A qualcuno però non è sfuggita la (casuale?) coincidenza tra la storica giornata del 30 marzo 2017 – in cui il Primo Ministro della Gran Bretagna, Theresa May, ha avviato il complicato processo di uscita dalla UE post referendum – e l’opening della grande mostra di Kapoor da Lisson Gallery, a Londra. Il nesso? Apparentemente nessuno, dal momento che l’artista non si occupa, per l’appunto, di attualità. Eppure, quel tripudio di pittura e silicone rosso carminio – tra sculture monumentali e gouache – è sembrato un commento silenzioso al clima diffuso in UK: tutta un’evocazione di decomposizioni organiche, caos, devastazione, lingue di fuoco, ferite e tormenti viscerali. La Brexit adesso è realtà. L’antieuropeismo ha vinto, insieme al desiderio di isolazionismo e a un vecchio nazionalismo vissuto in chiave anti-straniero. All’ombra dell’intesa manifesta tra la May e il Presidente Trump.
L’ARTE COME IMPEGNO POLITICO O RIFLESSO DELLO SPIRITO DEL TEMPO?
Una giornata di lacrime e sangue – almeno per i sostenitori del Remain – la cui rappresentazione icastica diventa il teatro sanguinoso di un artistar britannico? Come riportato da Artnet, nonostante le prese di posizione su temi caldi, quali la deriva xenofoba e la mitologia populista dei muri connesse all’emergenza rifugiati e alla crisi economica, Kapoor non si sbilancia. E lascia aperta l’interpretazione: “Credo che ci sia un certo senso di tumulto interiore”, ha ammesso. “E va bene dire: ‘ok è un giorno triste: viviamo in un mondo in cui la gente odia gli stranieri a tal punto da decidere di affrontare la maledetta Brexit per ottenere la riduzione del 15% del flusso di persone che arrivano nel nostro paese’. Voglio dire, è una pazzia! Tutte queste questioni sono ovviamente sul tavolo, ma io resisto all’idea che l’arte possa (voglia o abbia bisogno di) fare qualcosa direttamente”.
Tempi di grande trambusto, in cui l’appartenenza ai luoghi si trasforma in occasione di odio e in misero provincialismo. Tempi di codici e di valori in transito, lasciando qui e là vacillare il principio della solidarietà e la chance del dialogo. Tempi, infine, in cui il mito del multiculturalismo mostra il proprio lato debole, insieme ad altre narrazioni critiche. E la cultura, come la politica, sono protagoniste. Con l’arte a suggerire visioni, in forma di commenti, di analisi, raramente di presagi. Chi con un impegno diretto, chi restando nel perimetro degli oggetti, della riflessione sui linguaggi. Come nel caso di Kapoor. Che a questa sua nuova ricerca sull’”informe”, lontana dalla classicità essenziale di una volta, non assegna una lettura univoca. Una condizione interiore, intima, biografica, oppure un riflesso dello spirito del tempo. Due piani che, in fondo, camminano spesso in parallelo.
– Helga Marsala
Anish Kapoor
31 maggio – 6 maggio 2017
Lisson Gallery
27 Bell Street, Londra
www.lissongallery.com
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