Ecco chi vince il Moroso Concept 2017. Intervista ai direttori, Patrizia Moroso e Andrea Bruciati
Tre progetti per gli store Moroso, concepiti da tre giovani artisti italiani. Formula vincente non si cambia: arriva alla sua sesta edizione il premio Moroso, di cui parliamo con i due direttori artistici. Mentre a Udine sono annunciati i nomi dei vincitori.
Sono Francesco Fonassi, Margherita Moscardini e Driant Zeneli i vincitori del premio Moroso Concept 2017, come annunciato durante l’inaugurazione della collettiva presso il Museo Etnografico del Friuli. Erano 12 i finalisti che ambivano al premio finale e dunque alla produzione dei progetti site specific messi a punto per gli showroom Moroso di Milano, Londra e New York. Non arrivano sul podio Alfredo Aceto, Canemorto, Roberto Fassone, Anna Franceschini, Invernomuto, Valerio Nicolai, Luigi Presicce, Stefano Seretta e Ilaria Vinci.
La mostra, in corso fino al 4 giugno 2017, presenta i lavori dei 12 aspiranti al premio, insieme a quelli di 12 artisti vincitori delle precedenti edizioni (o insigniti di menzione speciale), quest’anno coinvolti nel ruolo di selezionatori dei candidati. Si tratta di Sergio Breviario, Gianni Caravaggio, Loris Cecchini, Giulio Delvé, Ettore Favini, Anna Galtarossa, Andrea Mastrovito, Andrea Nacciarriti, Dragana Sapaňjoš, Namsal Siedlecki, Luca Trevisani, Nico Vascellari.
Abbiamo incontrato Patrizia Moroso, art director della nota azienda di poltrone, divani e complementi d’arredo, fondatrice del Premio nel 2010 a partire da un’intuizione di Andrea Bruciati, che tutt’oggi segue insieme a lei la direzione artistica.
Può intravedersi una sorta di linea di continuità ideale, tra i progetti presentati al Salone del Mobile e quelli formulati per il Premio Moroso di quest’anno?
Patrizia Moroso: Credo che entrambi i contesti possano essere accomunati da un’osmosi fra le due aree di indagine creativa. Le prove presentate al Salone avevano un alto gradiente di creatività e si collocavano come parti autonome ma organiche dello spirito dell’azienda Moroso. Gli artisti si sono ovviamente mossi in maniera del tutto autonoma, ma molti hanno compreso nelle loro istanze la nostra continua tensione verso la sperimentazione e di certo questo è stato un tratto caratterizzante di quella linea di continuità ideale. In questa prospettiva Moroso supporta un maestro come Olafur Eliasson, già giurato di una precedente edizione del Premio, con un lavoro di “arredo” destinato a “Green Light – An artistic workshop”, il progetto che l’artista porterà a maggio a La Biennale di Venezia e che avrà un seguito nella produzione industriale di tali oggetti.
Quale significato, quale sfaccettatura conferire alla formazione della giuria? Oltre a te, che sei storico dell’arte, e Patrizia Moroso, art director di Moroso, c’era anche l’artista Paola Pivi? E che livello avete riscontrato nei progetti?
Andrea Bruciati: Il progetto si fonda sulla complementarietà delle ricerche per la costituzione di una piattaforma orizzontale pulsante e viva, in quanto dialettica. In questo senso sono affiancate e si integrano a vicenda le diverse sensibilità e professionalità, al fine di creare ad ogni edizione un’area di sperimentazione e di confronto libera, che non ha eguali fra le varie iniziative imprenditoriali legate al design per quanto concerne l’arte contemporanea in Italia. Il livello nell’insieme è sicuramente buono e il rapporto con lo spazio fisico e le dinamiche progettuali dell’azienda sono state fonti di ispirazione per le proposte ritenute da noi più accattivanti.
Come mai avete scelto il Museo Etnografico del Friuli di Udine, come sede della mostra?
Andrea Bruciati: Mi sembrava il luogo naturale in cui misurare la storia e l’anima dell’azienda: dalla perizia artigianale, la creatività e il dialogo stringente con il territorio nasce la poetica Moroso.
Che ruolo hanno avuto per il Premio Moroso, nel corso del tempo, i 12 artisti selezionatori? Patrizia Moroso: Nei progetti sinora realizzati vi è stata la nostra massima disponibilità come azienda e il rapporto è continuato in maniera amicale e proficua con la maggior parte degli autori. Solitamente il dialogo non si esaurisce con il Premio, spesso nascono delle collaborazioni, ovviamente in base alla stessa natura del vincitore. Tra le collaborazioni più emblematiche, c’è quella con Martino Gamper, che anche quest’anno ha presentato al Salone del Mobile una famiglia di prodotti inseriti nel nostro catalogo.
Dal rapporto tra arte contemporanea e design quali approcci emergono, quali ricerche o sperimentazioni inaspettate?
Andrea Bruciati: L’ambito di ricerca è liminare e al Salone di quest’anno si sono visti tanti orsi ad esempio (ndr come per il progetto Paola Pivi alla Rinascente), mentre lo showroom milanese dell’azienda è divenuto spazio di riflessione sociale, esente da ogni finalità promozionale del prodotto Moroso. Certo vi è una continua osmosi, anche se spesso sottaciuta e carsica: il che non comporta solo dei confronti epiteliali fra i due campi, ma uno sconvolgimento delle basi ideative. Pertanto le soluzioni per me più interessanti riguardano proprio la struttura funzionale ed estetica dell’elaborazione creativa che, negli esempi più illuminati, sa ridefinire entrambi i linguaggi.
Le va di esprimere un pensiero, un augurio che accompagni il vincitore del Premio Moroso 2017?
Patrizia Moroso: Mi auguro che il Premio rappresenti un tassello fondamentale per la loro carriera e che sia uno stimolo per nuovi campi di approfondimento nella loro ricerca. Anche per chi non ha vinto, se ci sono idee da sviluppare noi saremo i primi interlocutori a cui potranno rivolgersi.
– Ginevra Bria
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