Da Trump alla scultura classica. Intervista con Charles Ray
L’artista di Chicago, in arrivo a Roma con la mostra ospite dell’American Academy, racconta le sue esperienze creative e allarga lo sguardo al contesto socio-politico attuale.
Doppio appuntamento romano con Charles Ray (Chicago, 1953): il 17 maggio, a Villa Aurelia, conferenza dell’artista americano dal titolo Contemporary Sculpture from the Past; il giorno successivo, un secondo incontro e l’inaugurazione della mostra all’American Academy, curata da Peter Benson Miller e intitolata Mountain Lion Attacking a Dog. Per l’occasione abbiamo raggiunto Ray per parlare della mostra, di Roma, di Trump e di alcune altre questioni.
In che rapporto sono, nel tuo lavoro, tradizione e avanguardia/innovazione? Sono elementi che vengono quasi sempre messi in contrapposizione, ma il loro legame è in realtà molto più complesso. Cosa ne pensi?
Questa domanda mi fa girare la testa, poiché come artista ritengo che la realtà di queste categorie sia molto fluida. Forse la nozione di avanguardia è uno strumento di marketing per le scuole d’arte e i giovani artisti che vengono lì istruiti. Nel mondo dell’arte contemporanea nessuno vuole essere visto come “fuori moda” o “neoclassico”. Tutti vogliono essere riconosciuti come contemporanei, hot e innovativi.
Col passare del tempo diverse direzioni entrano nella coscienza (non c’è un GPS della mente, la tua posizione è stata raggiunta viaggiando da diverse direzioni simultaneamente). Quando un artista lavora nel necessario (che è molto diverso dal possibile) le PR cominciano a prendersi cura di se stesse. Il mercato è guidato e le opere d’arte sembrano essere meno importanti quando gli involucri e le terminologie prendono il sopravvento, diventando essi stessi elementi artistici nel lavoro contemporaneo. Gli artisti possono trovare l’arte utile fuori dal mercato. E questo può essere una via per lo spettatore, gli artisti o i collezionisti per trovare la propria strada attraverso il mondo.
Stai lavorando a Roma, città che ha un legame incredibilmente forte con il passato, e anche per questo ha grandi difficoltà a essere una città contemporanea. Tu che impressioni stai avendo? Che differenza c’è fra l’immagine di Roma e la realtà che stai vivendo?
I vestiti, i cellulari e le borsette dei turisti provocano una necessaria irritazione, piuttosto che rendere contemporanea la trama della città di Roma. L’arte classica della Roma Antica, il Rinascimento e il periodo Barocco sono ciò che rendono la città così contemporanea. Le opere stesse parlano molto chiaramente oggi, sono vive e in un certo senso costituiscono gli aspetti più contemporanei della città. La storia di Roma è il suo futuro. Questo passato e il futuro sono veramente reali. È il presente il vero problema, che vorrei fosse molto più illusorio.
L’opera che esporrai all’American Academy in Rome è ispirata a un gruppo scultoreo ellenistico conservato ai Musei Capitolini. Che tipo di dialogo si crea tra le due sculture nel tuo lavoro? Puoi dirci qualcosa di questa nuova opera?
Ispirazione è una parola buffa, è il risultato di tanto lavoro, ma non c’è mai traspirazione. Non c’è un momento temporale o una collocazione spaziale che l’artista, il critico, lo studioso possono indicare come un nesso di ispirazione. La parola ispirazione mi fa pensare più a una sezione trasversale di forma conica o a un diagramma spazio-tempo, relativo alla velocità di pensiero e ai luoghi della vita.
La mia scultura presso l’American Academy non è proprio rotolata giù dal leone che attacca il cavallo, ma si arrampica e scala la sua superficie, come se la superficie fosse una montagna. Il kitsch della testa del cavallo, ripristinata dallo studio di Michelangelo, porta a una sorta di disgiunzione rispetto al pathos classico e alla relazione tra ciò che è domestico e ciò che è selvaggio. Quando la scultura è stata portata al Getty Museum, qualche anno fa, sono stato molto turbato dalla violenza dell’attacco. Ho anche preso in considerazione l’idea di interrompere le mie regolari passeggiate notturne sulle montagne di Santa Monica. In California i leoni sono numerati e quello della mia regione è il numero 22. Sono ancora vivo, ma anche il leone 22 lo è.
Nell’Europa continentale il termine “vernacolare” è utilizzato da pochi anni, soprattutto quando si parla di arte. Negli Stati Uniti, cosa si intende con “vernacolare”? Quali elementi rendono il tuo lavoro vernacolare, ammesso che ce ne siano?
Sono un po’ in ritardo sulla terminologia, quindi non sono sicuro di come gli europei usino questo termine a proposito dell’arte contemporanea. In America è abbastanza utilizzato quando si parla di architettura, progettazione di giardini e musica primitiva americana. Penso sempre a una piccola panca in ferro battuto dipinto di bianco, con un sacco di riccioli a decorazione su tutta la superficie. Questa panchina è nel cortile di un sobborgo americano modesto, ma è stata realizzata pensando al prato davanti alla Reggia di Versailles. Per me questa panchina ha un che di francese, provinciale e vernacolare.
La tua mostra a Roma aprirà qualche giorno dopo l’opening della Biennale di Venezia. Venezia e Roma sono entrambe città d’arte, con una tradizione secolare. Qual è la differenza tra le due, a tuo avviso?
Beh, quando sono a Venezia desidero sempre di stare in spiaggia, ma quando sono a Roma vorrei essere nell’Anno Domini 270.
Cosa sta succedendo, dal tuo punto di vista, con gli Stati Uniti di Trump? Si sentono già ripercussioni, in particolare sulla scena artistica e creativa?
La risposta a questa domanda è contenuta nei miei auguri di Natale del 2016, che ti invio ora.
Come è cambiata Los Angeles negli ultimi cinque anni? Qualcuno dice che sia la nuova New York…
Sono due luoghi molto diversi. E se Los Angeles fosse la nuova New York, io sarei il primo a cancellare i miei voli per la East Coast.
– Marco Enrico Giacomelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #37
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