Spontaneità e tempo. Intervista a Tadashi Kawamata
Il 14 maggio, presso la Fondazione Made in Cloister, a Santa Caterina a Formiello, a Napoli, sarà inaugurata una grande installazione site specific dell’artista giapponese Tadashi Kawamata (Hokkaido, 1953), curata da Demetrio Paparoni. L’opera, dal titolo The Shower, sarà costituita da tremila cassette di legno e verrà realizzata in collaborazione con gli artigiani e i […]
Il 14 maggio, presso la Fondazione Made in Cloister, a Santa Caterina a Formiello, a Napoli, sarà inaugurata una grande installazione site specific dell’artista giapponese Tadashi Kawamata (Hokkaido, 1953), curata da Demetrio Paparoni. L’opera, dal titolo The Shower, sarà costituita da tremila cassette di legno e verrà realizzata in collaborazione con gli artigiani e i ragazzi del quartiere Porta Capuana. Ne abbiamo parlato con l’artista.
Spesso utilizza materiali legati al luogo in cui lavora. Questo accade anche a Napoli per Made in Cloister, dove costruirà la sua installazione con tremila gabbiette di frutta recuperate tra gli scarti del mercato.
Sì. La zona in cui realizzerò il lavoro a Napoli era una delle porte di accesso alla città, il luogo dove arrivavano le merci da distribuire. Era un grande mercato dove avveniva lo scambio delle merci. Per questo motivo, per il lavoro che realizzerò qui, ho scelto le cassette di legno, generalmente usate per contenere frutta e verdura. È un materiale di uso comune, con una funzione pratica, ma allo stesso tempo dal carattere effimero. Una volta utilizzate, le cassette vengono gettate via. Questo aspetto di caducità è interessante per me e si ricollega al mio lavoro. Farò un progetto temporaneo, sarà costruito e poi si dissolverà.
Come si svolgerà il lavoro di realizzazione?
Lavorerò in collaborazione con i ragazzi del quartiere. Passerò molto tempo a Napoli perché si tratta di un’opera impegnativa. Per me è molto interessante lavorare qui a Napoli, è la prima volta per me. Davide De Blasio mi ha aiutato molto in questi giorni, e con lui c’è stato anche Demetrio Paparoni. È lui che ha proposto l’installazione a Made In Cloister. Ho già lavorato in Italia, a Venezia, Roma, Firenze.
Che impressione ha avuto di Napoli?
Napoli è una città molto caotica, le persone sono socievoli e calorose. Non è una città incentrata sul business o sulle banche. Ho conosciuto persone alla mano, non ho avvertito un senso di gerarchia e questo per me è molto interessante.
Le sue opere trasmettono la sensazione di qualcosa di organico, in netto contrasto con la rigidità dell’architettura circostante. Questo è evidente anche nell’installazione che sta per realizzare a Santa Caterina a Formiello.
Sì, traggo la mia ispirazione dalla vita, dalle persone che abitano i luoghi dove realizzo le installazioni, e anche dalla natura. Mi interessa il modo in cui le persone interagiscono tra di loro. E questo, in genere, avviene in maniera caotica nonostante le città tendano a essere rigorose, dritte, ordinate. La vita, invece, tende a essere più fluida. Per il mio lavoro è molto importante il senso dello scorrere del tempo, la sensazione di qualcosa di naturale e di fluido. Per creare ho bisogno di queste sensazioni. Rifuggo da ciò che è troppo rigido e ordinato.
Ci sono forme ricorrenti nel suo lavoro, come le capanne, il nido o la casa sugli alberi, tutti elementi tipici dell’immaginario dei bambini.
Sì, sono cose molto semplici e spontanee. L’immaginazione, la fantasia dei bambini, penso siano qualcosa di puro e mi piace approcciarmi al mio lavoro allo stesso modo. Le persone, in genere, crescendo, perdono questa capacità di immaginare, ma se qualcuno vede una capanna su un albero in giardino, ripensa a quando era bambino. Per me è molto interessante il ricordo di quelle sensazioni. La mia capanna sull’albero non è in realtà abitabile. È solo un richiamo all’immaginazione delle persone, alla sensazione di stare lì. Ovviamente questo vale anche per il mio nido.
Che influenza ha avuto la pittura sul suo lavoro?
I miei lavori non hanno una correlazione reale ed effettiva con dei dipinti, anche perché non mi piace lavorare da solo, ma in squadra. Amo collaborare con studenti, con altri artisti, con artigiani. L’aspetto collaborativo è molto rilevante per me.
Nelle sue opere è come se ogni singolo pezzo di legno corrispondesse a una pennellata. Come in un quadro in cui tutto dà una sensazione di movimento.
Sì, come in un disegno! [sorride e fa un gesto come se volesse disegnare nell’aria, N. d. R.]
Nel suo lavoro il processo costruttivo dell’opera è visibile –è possibile rintracciare le varie fasi che hanno portato alla realizzazione dell’opera – mentre, spesso, nell’architettura occidentale il processo è nascosto.
Sì, nell’architettura occidentale tutto è definitivo, perfetto, finito, ma nel mio caso è differente. Io non ho un’idea precisa di quando un’opera è finita. Perché un’opera non è mai finita e, in ogni caso, non è mai perfetta. E del resto io non posso e non voglio creare qualcosa di perfetto. Le mie installazioni sono sempre qualcosa in divenire, perché così è la vita. La vita è un work in progress, non è una realtà perfetta, noi stessi non siamo perfetti, questo fa parte della natura umana.
Il suo pensiero si rifà in qualche modo alla filosofia orientale?
Sì, sono idee buddiste.
Ci sono due modi di guardare al progresso. Uno si focalizza sugli aspetti lineari del progresso, come se esso consistesse semplicemente nel passare da un punto A a un punto B. Un altro modo di guardare al progresso è di porre l’attenzione sugli incidenti di percorso.
Sì, sa perché mi piace lavorare con molte persone? Perché c’è sempre qualche imprevisto nella creazione dell’opera. A qualcuno viene in mente qualcosa, ha un punto di vista differente dal mio e io magari penso che effettivamente sia meglio cambiare. Questo mi piace molto. Non sono rigidamente legato alla mia idea iniziale. Cambio le cose continuamente. Non sono quel tipo di artista che concepisce un’idea e rimane legato rigidamente a essa. Ad esempio, Christo ha un’idea, disegna dei progetti e poi realizza l’opera e il risultato finale è molto simile ai progetti, ma nel mio caso non è così.
– Giuseppe Spena
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