Quel Padiglione che ruppe gli schemi. Al Centro Pecci di Prato
Il “vecchio” edificio di Italo Gamberini torna protagonista accogliendo la riedizione di “Comportamento. Biennale di Venezia 1972 – Padiglione Italia”, così come fu pensato dal curatore Renato Barilli. Una pagina decisiva nella storia dell’arte contemporanea italiana.
Anni difficili, gli Anni Settanta, prima avvisaglia di ciò che sarebbe stato l’inizio del III Millennio, anni di scontro ideologico e di impegno civile, nella vita quotidiana come nell’arte. Sull’onda del maggio francese, nel ’68 la contestazione raggiunse anche la compassata Venezia, con i cortei e le cariche della Polizia in Piazza San Marco; si protestava contro lo statuto della Biennale, risalente ancora al Ventennio. Tale fu lo shock, che l’edizione del 1970 si svolse quasi in sordina. Due anni dopo, sulla scia degli eventi, Renato Barilli, curatore designato del Padiglione Italia, decise di impostare il lavoro sul nuovo rapporto fra arte e realtà, su come questa irrompesse tumultuosamente nella quotidianità, rompendone gli schemi, e come l’arte ne registrasse gli effetti. Un Padiglione dall’afflato sociologico, rivolto all’analisi, attraverso l’arte, delle dinamiche che influiscono sui comportamenti dell’uomo.
L’ESPANSIONE DEL CONCETTO DI ARTE
All’alba degli Anni Settanta, l’Italia si stava affacciando a una nuova fase della modernità: una modernità convulsa, drammatica, sofferta e violenta. Anche l’arte vive di ricorsi storici: all’indomani dell’Unità, la Scapigliatura avvertì l’urgenza di raccontare il moderno sentire dell’individuo, indagando gli aspetti psicologici che per la prima volta entravano a far parte del bagaglio dell’arte nazionale. Oltre cento anni più tardi, i poveristi e gli informali erano altrettanto scapigliati dei loro predecessori lombardi, attenti ancor più di essi al sottile rapporto fra arte e psicologia, alla luce del nuovo clima sociale. Il Padiglione Italia curato da Barilli indagò l’espansione dei confini dell’arte che dall’opera entra nelle dinamiche quotidiane dell’individuo. Dalla serie numerica di Leonardo Fibonacci che Mario Merz applicò alla struttura di una barca, di un igloo, e alla marcia di una lumaca, sostenendone la capacità di misurare i fenomeni umani e animali, alla serie Piedi di Luciano Fabro, dedicata alla locomozione (imponenti zampe di gallinacei realizzate in vetro di Murano e coperte nell’estremità superiore da raffinata seta shantung: immagine caustica e beffarda dello Stivale, che all’epoca si avviava verso la società di massa), passando per il giovane affetto da sindrome di Down che Gino De Dominicis, intenzionato a indagare l’immortalità, “espose” in una sala del Padiglione. Sono questi i punti cardinali di un’indagine artistica che ebbe il merito di accrescere la compenetrazione fra arte e società, nell’urgenza di una ridefinizione generale del rapporto con la realtà.
LA SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO E LA TECNOLOGIA
Il pubblico reagì con entusiasmo al Padiglione Comportamento, dimostrando nella pratica quanto teorizzato dagli artisti. Fra gli eventi memorabili di quella Biennale, l’Esposizione in tempo reale di Franco Vaccari, una semplice cabina fotomatica a disposizione dei visitatori, che anticipò di quattro decenni la moda del selfie; una lunghissima coda stazionava davanti alla cabina, tutti in attesa di fotografarsi, per poi appendere l’istantanea. Vaccari aveva fatto proprie le teorie situazioniste di Guy Debord, allestendo un happening a uso e consumo del pubblico. Da parte sua, Germano Olivotto sperimentava l’utilizzo del neon, immaginato come sostituto della clorofilla negli alberi e nelle piante: fotografie di maestosi alberi secolari venivano così “risvegliate” da una scarica di luce elettrica, con l’artificiale che sostituiva il naturale. Si entrava nel III Millennio, artistico e tecnologico.
Riproporre Comportamento 45 anni dopo, non è semplice amarcord: quella pratese è una mostra non soltanto storica, ma anche di studio, attraverso l’esposizione di numerosi documenti d’archivio, quali fotografie originali, articoli di stampa, testi critici e filmati dell’epoca, per capire un decennio e leggervi le radici della contemporaneità, anche alla luce delle reazioni che questo Padiglione suscitò nell’opinione pubblica.
– Niccolò Lucarelli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati