Due artiste in dialogo. Yoko Ono e Claire Tabouret a Roma
Villa Medici, Roma – fino al 2 luglio 2017. Una giovane artista francese e un mostro sacro dell’arte contemporanea si incontrano nella Capitale. Generando un racconto eterogeneo e complementare.
Nella linea di Une, la serie di mostre ideate per l’Accademia di Francia dalla direttrice Muriel Mayette-Holtz e curato da Chiara Parisi c’è la volontà di creare relazioni fra artiste al di là di correnti e tempo. In quest’ottica va letta la mostra One day I broke a mirror, titolata così dalla stessa Yoko Ono. Claire Tabouret (Pertuis, 1981), giovane artista francese, viene dalle esperienze dell’oggi. Cresciuta nel post-femminismo, come nel “dopo” dei movimenti, guarda al mondo femminile in maniera diversa. Ritorna a essere curiosa delle strategie dell’immagine che la donna mette in movimento, e che diventano enigmatiche nei grandi quadri con gruppi di donne che guardano fissamente il pubblico, come (dice la stessa Tabouret) l’Olimpia di Manet guarda il pubblico in attesa di essere vista e giudicata. Una forte influenza di Marlene Dumas ordina la folla di segni e di espressioni che i quadri propongono, all’insegna di una rimessa in questione delle istanze “naturali” del femminile contrapposte alla lettura di “cultura”. Al di là della drammatizzazione del colore rosso/rossetto che invade il volto di molti ritratti (quasi come il drammatico rossetto sbavato del cantante dei Cure), i ritratti mappizzano l’iconografia del mondo femminile con curiosità critica ma non negativa, come la regista Sofia Coppola descrive il comportamento di Maria Antonietta di Francia nel suo film: una serie di trasformazioni segnate dal costume e dalla moda in attesa dello sguardo dell’altro.
YOKO ONO E LA STORIA
I lavori di Yoko Ono (Tokyo, 1933) aprono lo spazio libero e stravagante di una vita vissuta coscienziosamente “dentro” la storia nel suo divenire. Dalla metà degli Anni Cinquanta, trasferita a New York da Tokyo, si impegna nei linguaggi sperimentali, portandosi dietro anche la memoria del gruppo Gutai giapponese, il cui radicalismo a volte previene alcune scelte che il New Dada sta facendo. La nascita di Fluxus e il suo nomadismo fra Europa e America la vede in prima fila nella smaterializzazione dell’arte predicata dal gruppo, che esplora, provoca e si impegna nell’arte come dimensione politica e attivista. I processi di smaterializzazione dell’arte sono segnati dalla prima opera video SkyTV, la ripresa in diretta del cielo nel 1966 all’esterno della Galleria G di New York, e vediamo il cielo romano in lento movimento in una serie di teleschermi. A questa rottura praticata attraverso il linguaggio video con artisti come Nam June Paik, Wolf Vostell, ecc. seguono attacchi al valore unico e irripetibile dell’opera quadro come un frammento di tela collocato a terra e titolato Painting to be stepped on, indicando una funzione d’uso e di vita della materia estetica. I lavori proposti sono riletture (molto attraenti) dei suoi lavori storici. Ma la riproposizione non è mai statica.
ARTE E TEMPO
Se una cosa è stata detta da Fluxus è appunto che il tempo influenza profondamente l’arte e che il tempo va inserito nell’arte stessa. I testi, le idee che Yoko Ono ha prodotto sono dappertutto: in forma di quadro con parole da cartellone, in forma di scritte frettolose come appunti su un taccuino, scritte a matita nelle stanze ad altezze diverse. Ma anche come invito a scrivere i propri desideri su biglietti da appendere ai “Wish Trees” dell’installazione nella loggia dove alberi di limone in fiore e olivi rappresentano la pace e la natura e i desideri la nostra lettura della realtà. Dei molti film fatti dalla Ono è presente Freedom, eloquente citazione dalle manifestazioni femministe in cui venivano bruciati i reggiseni, e dove le mani di Yoko aprono lievemente e richiudono il reggiseno. Le parole, portatrici leggere e pesantissime della nostra cultura, restano strumento privilegiato e i tanti libri, minilibri, pamphlet, si muovono per smontare la realtà chiusa nelle parole e farla crescere o anche diventare il suo contrario. “This is not here” scrive in “the Blue room”, “Ricorda”, “Respira” e soprattutto “Sì”, parola chiave delle controculture degli Anni Sessanta.
– Lorenzo Taiuti
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