Dal riso all’arte. L’atlante energetico di Elena Mazzi
Dalle risaie piemontesi all’energia ricavata dagli uomini per vivere. La Fondazione Spinola Banna ospita un progetto multidisciplinare incentrato proprio sul cereale più famoso del Piemonte. Ne abbiamo parlato con Elena Mazzi, nel doppio ruolo di artista e curatrice del progetto.
Ci puoi raccontare il progetto Atlante Energetico? Com’è nato e come si è sviluppato, anche dal punto di vista delle relazioni tra istituzioni?
La GAM di Torino, sotto la nuova direzione di Carolyn Christov-Bakargiev, ha espresso la volontà di dialogare con istituzioni del territorio. Così è nata l’idea di rivisitare il programma di residenza presso la Fondazione Spinola Banna, invitando, anziché un visiting professor dalla carriera più consolidata, una figura più giovane, un tutor che potesse affiancare il percorso dei partecipanti su un più ampio periodo di tempo. Nell’ambito del progetto, sostenuto dalla Compagnia di San Paolo, il workshop è stato spezzato in due periodi distanti tra loro, così da dare la possibilità ai partecipanti di avere il tempo necessario per fare ricerca; inoltre il numero dei partecipanti è stato ridotto a cinque. Il progetto prevede poi delle restituzioni pubbliche negli spazi non propriamente museali della GAM, come la biblioteca, i corridoi, il bar e così via.
Perché proprio il tema dell’energia?
Il tema dell’energia mi è stato dato come unico riferimento iniziale. Sono partita da un territorio fondamentale per la regione Piemonte: le risaie. Sono luoghi affascinanti, che cambiano pelle durante le varie fasi dell’anno: dalla primavera, specchi d’acqua che riflettono il mondo, all’autunno, quando si colorano di piante dorate. Chilometri e chilometri di terra piatta, dove uccelli e trattori camminano fianco a fianco, con uno scopo comune: nutrirsi di un cibo secolare, che da sempre ha dato forma alle culture, le economie e l’alimentazione di diversi Paesi nel mondo. Il riso, nato nel Sud-Est asiatico, fornisce il 21% dell’energia agli esseri umani; esiste in numerosissime varietà e può crescere in ambienti umidi e bagnati, dove altre colture non potrebbero sopravvivere. Le risaie sono quindi ambienti biologici complessi e delicati. L’uomo li modella, spesso alterandone gli equilibri. Sono proprio questi equilibri che ho voluto descrivere, e per farlo ho avuto bisogno di più discipline a confronto.
Quali sono i temi della mostra e della pubblicazione?
Ambiente, scienza, alimentazione, antropologia, economia, arti visive, letteratura, politica si intrecciano e si avviluppano attorno a un chicco di riso. Ho considerato l’approccio multidisciplinare come un punto di partenza su cui imbastire un dialogo aperto con i partecipanti al workshop, gli ospiti invitati, le istituzioni coinvolte e il pubblico museale. È stato per me significativo avere la possibilità di invitare ospiti esterni all’interno del workshop e degli incontri. Uno degli ospiti, Nature Addicts Fund, una piattaforma francese che si occupa di arte e natura, ci ha a sua volta invitati a partecipare alla loro annuale Academy, che quest’anno si è tenuta in Grecia. Così siamo partiti in gruppo, alla volta di Eleusis, una città vicina ad Atene.
Tu hai nel progetto il doppio ruolo di artista e di curatore. Com’è stato lavorare nei panni altrui occupandosi anche delle ricerche dei colleghi?
Non sono una curatrice, ma mi piace talvolta organizzare la struttura di un processo condiviso, per sottolineare i vari livelli di conoscenza. È già capitato in passato di curare alcuni miei eventi e dal 2011 faccio anche parte di Trial Version, un collettivo che principalmente organizza mostre in spazi privati difficilmente accessibili. Trovo stimolante curare in gruppo. Le decisioni finali le ho assunte io, ma ho spinto i ragazzi a essere pienamente partecipi di ogni singola scelta. Il che significa avere cura che i loro lavori trovassero il giusto spazio e che dialogassero tra loro, anche a costo di operare una sintesi importante sul materiale prodotto. Il catalogo è poi per me uno strumento prezioso che raccoglie le fasi precedenti e gli spunti di lavoro. Ma non è un catalogo della mostra finale, non si vedono le immagini della mostra o delle opere. È quasi un libro d’artista, un atlante che raccoglie le personalità che hanno arricchito questo viaggio.
– Daniele Capra
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