Ecco chi era Khadija Saye, l’artista morta nel rogo della Grenfell Tower di Londra
25 anni e una carriera promettente davanti: ecco chi era Khadija Saye, la giovane artista di origine gambiana scomparsa nel rogo tragico della Grenfell Tower di Londra.
C’era anche un’artista tra le vittime dell’incendio che nella notte tra martedì 13 e mercoledì 14 giugno è divampato nella Grenfell Tower, un palazzo di 24 piani a nord Kensington a Londra. Lei, Khadija Saye (Londra, 1992-2017), 25 anni di origine gambiana, è stata data fino al 16 giugno per dispersa. Poi il decesso è stato confermato. Le speranze in realtà erano pochissime: la giovane che viveva al ventesimo piano dello stabile con la madre Mary Mendy, ancora dispersa, aveva scritto un messaggio su Facebook alle 3 del mattino, lanciando l’allarme: “sono intrappolata”, diceva. “Non posso scappare”. Aveva poi, come ricostruito dal The Guardian, mandato un messaggio ad un’amica, Nicola Green, artista anche lei: “Per favore”, le aveva scritto, “prega per me e per mia madre”. Lo stesso giorno Nicola aveva lanciato un appello su Twitter per ritrovare la ragazza e sua madre, entrambe disperse. Una promettente carriera, quella di Saye, stroncata sul nascere. Solo un mese fa aveva postato, soddisfatta e felice, un’immagine da Venezia su Facebook e aveva scritto: “È stato un vero viaggio, pieno di lacrime, alti e bassi, ma mamma, sono un’artista che va in mostra alla Biennale di Venezia e le benedizioni sono tante!”
IL DIASPORA PAVILION
L’artista era infatti stata invitata, e le opere sono naturalmente ancora in mostra fino al 26 novembre, al Diaspora Pavilion, presso Palazzo Pisani S. Marina, durante la 57. Biennale di Venezia. Promotore dell’iniziativa l’International Curators Forum (ICF) e l’Università delle Arti di Londra (UAL). La Saye aveva avuto l’opportunità di confrontarsi con un tema caro, quello della diaspora, in una collettiva curata da David A. Bailey e Jessica Taylor, che comprendeva, tra gli altri 19 artisti, star come Yinka Shonibare, Isaac Julien, Michael Forbes e la stessa Nicola Green, sua mentore da tre anni. Secondo alcuni rumors quella esperienza aveva richiamato una certa attenzione sul lavoro di Khadija che era riuscita quindi a guadagnarsi un colloquio con un influente gallerista, di cui non si conosce il nome. La Saye, sicuramente non proveniente da una famiglia abbiente, era anche una sportiva. La passione per il rugby le aveva permesso di conquistare una prestigiosa borsa di studio, grazie alla quale continuare gli studi. Bella e fiera, nelle sue immagini fotografiche e nei suoi autoritratti c’è tutto il talento di un’artista che riflette sul presente e sulle proprie origini, mettendo in primo piano la memoria e la riflessione sull’identità.
LE OPERE DI KHADIJA
Consultando il suo sito questa ricerca è davvero evidente: soprattutto attraverso la serie Crowned che mette insieme il tema della tradizione con quello della femminilità spesso negata (delle sue modelle non incrociamo lo sguardo, né vediamo i lineamenti).
Gli scatti intitolati Home.Coming, invece, raccontano un ritorno, anche personale, alle origini. Saye era stata inclusa in un documentario BBC2 sulla Biennale di Venezia come unica artista under30 (il network doveva trasmettere il programma il 17 giugno, ma per delicatezza lo aveva cancellato e rimandato a data da destinarsi). Era stata inoltre invitata a parlare alla conferenza Names Not Numbers, promossa da Creative Access, che si svolgerà il prossimo settembre. David Lammy, marito di Nicola Green e politico britannico classe 1972, sconvolto, ha twittato: “Riposa in pace, Khadija. Dio benedica la tua bellissima anima. Il mio cuore è spezzato oggi. Piango la tragica morte di una giovane, meravigliosa donna”. E ad omaggiarla sui social, anche la Tate, oltre ad una valanga di amici, conoscenti e persone commosse che depositano, come fiori, milioni di messaggi di cordoglio sul suo wall.
–Santa Nastro
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