Da Mosca a Venezia. Parola al Pushkin Museum
Protagonista di uno degli eventi collaterali della Biennale curata da Christine Macel, il museo russo conferma la sua apertura agli stimoli della creatività contemporanea. Ne abbiamo parlato con Olga Shishko, co-curatrice della mostra allestita a Palazzo Soranzo Van Axel e direttrice della sezione di arte cinematografica e media art del Pushkin Museum.
Uno fra i musei statali più conosciuti al mondo, custode di una collezione di oltre 700mila opere, che spaziano dall’Antica Grecia all’inizio del XXI secolo, è approdato in Laguna in occasione della Biennale d’Arte inaugurata poche settimane fa. Porta la sua sigla la mostra Man as Bird. Images of Journeys, allestita in un affascinante palazzo reduce da un’importante campagna di restauri. Puntando su quattordici artisti, russi e non, l’esposizione innesca un azzeccato dialogo fra memorie visive differenti, restituite attraverso il filtro del linguaggio contemporaneo. Un escamotage che rispecchia le origini e gli obiettivi del neonato Pushkin Museum XXI, il dipartimento costruito in seno al museo di Mosca e immaginato come catalizzatore di nuovi sguardi sullo sconfinato patrimonio dell’istituzione russa. Un luogo in cui i nuovi media incontrano gli esiti delle pratiche artistiche più tradizionali e storicizzate e una collezione che mescolerà passato e presente in una catena di rimandi e molteplici letture, come sottolineato da Olga Shishko, fondatrice del Centro di cultura e arte MediaArtLab di Mosca, entrata a far parte della squadra del Pushkin un anno fa.
Iniziamo dalla mostra allestita presso Palazzo Soranzo Van Axel. È la vostra prima partecipazione alla Biennale di Venezia come evento collaterale. Da dove prende le mosse questa rassegna?
Prima di tutto va ricordato che quest’anno abbiamo lanciato Pushkin Museum XXI, che non è un progetto legato solo all’arte contemporanea, ma al dialogo fra arte contemporanea e arte tradizionale. Ovviamente non abbiamo potuto portare qui le opere originali, ma per questa mostra ci siamo basati su lavori che si ispirano agli originali presenti nella collezione del Pushkin Museum. Abbiamo preso spunto da vecchie e nuove modalità di guardare al mondo, privilegiando gli artisti portatori di nuovi sguardi. Quest’ottica, per me, non è connessa soltanto al Rinascimento, ma anche al Medioevo. Uno sguardo che non coinvolge solo la vista ma anche gli altri sensi e prospettive.
Come è strutturata la mostra?
La mostra è divisa in tre parti: il primo piano è dedicato al viaggio in uno spazio lineare, la seconda parte, al piano superiore, è legata alla concezione di Mikhail Matyushin – artista dell’Avanguardia russa: partire dai dettagli che compongono il mondo e poi estendere la visione con l’aiuto di tutti i sensi. La terza parte è invece connessa alla visione panoramica e ai big data. Nell’opera di Mariano Sardon, per esempio, vengono usati gli originali disegni della nostra collezione, che comprende molti lavori connessi a questa visione panoramica, da cui deriva il titolo della mostra. Sardon richiama l’uso dell’immaginazione nel Cinquecento, quando era difficile realizzare mappe per via delle distanze non facilmente percorribili e visualizzabili. Sardon ha creato una mappa inedita, usando le nuove tecnologie per individuare le traiettorie e i modi con cui le persone guardano alle mappe stesse.
E per quanto riguarda la location che avete scelto? È temporanea o accoglierà anche le vostre future rassegne a Venezia?
Saremmo certamente felici di realizzare le nostre mostre qui a ogni Biennale. Questo palazzo è stato un miracolo per noi. Fino a due mesi prima dell’opening abbiamo lavorato in un’altra location, che ha ispirato il tema del viaggio perché in precedenza era la sede di una compagnia di navigazione. Poi si sono verificati alcuni problemi, e quando è emersa la possibilità di realizzare la mostra qui è stato miracoloso. In occasione della prima visita a Palazzo Soranzo Van Axel, ho avuto la sensazione che tutti gli elementi combaciassero. Sullo sfondo di un dialogo tre le opere, il palazzo e anche l’esterno dell’edificio.
Quale apporto ha dato la vostra esperienza con il MediaArtLab al Pushkin Museum?
A noi non piace un’arte “solo” attraente, un’arte con cui giocare soltanto. Privilegiamo un’arte che generi queste sensazioni immersive. Lo dimostrano gli artisti presenti in questa mostra. Marnix de Nijs usa le nuove tecnologie e le immagini dei social per ricreare la sua foresta, evocando però in qualche modo le rovine di Piranesi. La dimensione di un viaggio interiore, alla scoperta di nuovi spazi intimi e personali, caratterizza invece l’intervento di Martin Honert.
L’attenzione verso il contemporaneo e la sua interazione con il patrimonio passato è un aspetto determinante per le attività del Pushkin XXI.
Il MediaArtLab è confluito nel Pushkin Museum solo un anno fa, ma l’attenzione verso il contemporaneo ha preso piede anche prima, quando Marina Loshak è diventata direttore del Pushkin, tre anni fa. L’assunto da cui Marina è partita è che non si può comprendere l’arte del passato senza usare quella del presente. Ad esempio l’artista russo Dmitry Gutov ha realizzato una mostra all’interno del museo affiancando le proprie sculture alle opere originali di Rembrandt. Irina Nakhova, protagonista del padiglione russo alla Biennale di Venezia del 2015, ha realizzato un video che indaga il modo in cui i visitatori guardano i dipinti.
Quali spazi occupa il Pushkin Museum XXI?
È in corso la costruzione di 26 nuovi edifici che si andranno a sommare a quelli del museo Pushkin già esistenti e l’idea è quella di dare al Pushkin Museum XXI uno spazio autonomo. Una delle prerogative del direttore del Pushkin è capovolgere le prospettive e per questo ha invitato Jean-Hubert Martin a curare l’ultima mostra ospitata nell’edificio principale del Pushkin Museum prima che questo venga chiuso per restauro nel 2020. L’intera collezione sarà disponibile per questa mostra e l’obiettivo è generare nuovi sguardi sulla raccolta.
Oltre a quello del museo, il Pushkin Museum XXI riceve anche il supporto di altri soggetti?
Il Pushkin Museum XXI è parte del Pushkin Museum ma al Ministro della Cultura non piace l’arte contemporanea e dunque questo dipartimento.
Il supporto arriva quindi dai privati.
Sì, da quando ci siamo uniti al Pushkin Museum, tutti i progetti e anche questa mostra veneziana sono nati dalla collaborazione con il mail.ru group che è aperto a nuove idee e pronto a rischiare insieme a noi. Qui a Venezia, inoltre, abbiamo ricevuto il supporto della famiglia Peganov e di Barco, che ci ha supportato nella realizzazione della mostra di Peter Greenaway quando lavoravamo al Manezh.
Mostre future, sia presso il museo sia all’estero?
Ospiteremo la mostra di Matthew Collishaw, che inviterà il pubblico a scoprire i vari dettagli e rimandi in giro per le sale. Un’altra mostra in programma coinvolgerà l’artista cinese Cai Guo-Qiang, che rivoluzionerà il museo. Per quanto riguarda le mostre estere, stiamo discutendo con vari direttori di musei stranieri. Per noi è importante far conoscere al mondo la nostra collezione e l’interpretazione che ne diamo. Per esempio una parte delle nostre opere impressioniste sarà ospite di una mostra a Tokyo, insieme a una installazione ambientale dedicata a Claude Monet.
E sul fronte veneziano? Avete intenzione di tornare?
Sarebbe bello tornare in futuro in questo palazzo, però il nostro problema è l’assenza di un sistema di condizionamento, dunque non possiamo portare i pezzi originali. Ma siamo in buoni contatti con chi possiede l’edificio e le trattative sono in corso per usare, eventualmente, anche altri spazi del palazzo, sottoposto a interventi di recupero per dieci anni e tutt’ora in fase di restauro.
C’è un luogo, a Venezia, che trovate particolarmente affine al vostro approccio?
Il nostro palazzo preferito a Venezia è il Fortuny perché è molto vicino alla nostra visione. Siamo in contatto con Daniela Ferretti, che ha seguito la nostra mostra su Raffaello a Mosca, per la quale abbiamo realizzato un’installazione sonora ideata da un musicista dell’Avanguardia russa.
– Arianna Testino
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