La Galleria Borghese a Roma celebra 20 anni dalla riapertura con un’installazione di Daniele Puppi
Un respiro sincopato di 15 minuti, sempre più affannato, accompagna tra disturbo, straniamento surreale e angoscia, i visitatori al cospetto delle grandi sculture di Gian Lorenzo Bernini e di Antonio Canova.
“Da qui a tre anni i beni culturali romani vivranno un nuovo rinascimento. E a guadagnarci sarà tutta la città”. Era il 1997 e rispetto alla Roma disastrata e senza speranze e prospettive di oggi sembrano anni luce fa. Il rinascimento, per certi versi, poi ci fu davvero, la città si era data un obbiettivo (il Grande Giubileo del 2000) e riuscì a centrarlo. Nel quadro delle iniziative, come spiegava l’allora Vicepresidente del Consiglio e Ministro dei Beni Culturali Walter Veltroni (sue le parole qui sopra), c’era tanta cultura: “la cultura è un settore strategico su cui devono concentrarsi ingenti investimenti” continuava l’uomo politico che poi qualche anno dopo diventò proprio sindaco della capitale”
VENT’ANNI DI GALLERIA BORGHESE
Era il 28 giugno 1997 e quel giorno, dopo 16 anni di chiusura, riapriva a Roma la Galleria Borghese, uno dei musei più straordinari del mondo. Oggi la Galleria inizia i festeggiamenti per il ventennale dalla riapertura e lo fa con una buona dose di coraggio. Grazie all’approccio della direttrice Anna Coliva la Galleria non è nuova a contaminazioni tra arte classica, antica e contemporanea, ma forse per la prima volta un’installazione avvolge totalmente il museo come quella appena inaugurata a firma di Daniele Puppi (Pordenone, 1970). Proprio vent’anni fa (è tempo di ventennali evidentemente) Puppi si diplomava all’Accademia di Belle Arti – di Roma, per giunta – e proprio vent’anni fa iniziava la sua carriera peculiare e riconoscibile focalizzata ad approfondire i temi del corpo, dello spazio architettonico, della fatica (così i titoli di moltissimi suoi lavori) attraverso soprattutto il video.
LA SCELTA DI PUPPI
Per questa grande occasione espositiva Puppi avrebbe potuto adattare uno dei suoi famosi lavori video. Avrebbe potuto magari produrre una videoinstallazione nuova, mettendola a confronto con qualcuno dei capolavori contenuti in uno dei musei più iconici e indimenticabili del pianeta. E invece è riuscito con intelligenza e lungimiranza a dribblare questo errore. L’intervento non si vede, ma si sente. Conflitto con i mitici pezzi di storia dell’arte ospitati nelle stanze? Zero. Sinergia totale e sinestesia pure. Puppi, proprio lui, respira per un quarto d’ora in tutte le sale del primo piano; il lavoro tecnico è eccellente: non si vede un altoparlante, non si vede un filo (“abbiamo lavorato tutte le notti per 10 giorni con professionisti qualificatissimi”, ci spiega), il suono casca a pennello sia quando le sale sono vuote, sia quando si riempiono di visitatori mescolandosi al brusìo delle voci. Un lavoro pieno, avvolgente e però angosciante e ansioso. Un ansimare di fatica, di estasi, forse di sesso. Un monito, forse banale: queste opere sono icone riprodotte su libri e cartoline, ma badate bene che respirano ancora.
L’URLO ALL’ESTERNO
E l’audio interno, che viene riprodotto con sempre maggiore ritmo ad intervalli di un quarto d’ora ogni due ore (nella Borghese gli accessi sono cadenzati e contingentati, per cui la visita dura un dato tempo preciso a entrate scaglionate), è corroborato da una seconda parte dell’installazione all’esterno, verso il parco di Villa Borghese, dove ogni 120 minuti l’artista lancia un urlo straniante, pauroso, terribile che spiazzerà signore con cane, ragazzini in pausa scolastica e turisti fino a settembre.
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