La pittura inquieta di Maria Lassnig. A Firenze
Palazzo Pitti, Firenze – fino al 25 giugno 2017. Dalla ricerca sul colore “assoluto” alla percezione di sé, dai dipinti femministi agli autoritratti, un’ampia retrospettiva ripercorre l’opera di Maria Lassnig, una delle più grandi pittrici del secondo Novecento, Leone d’oro alla carriera a Venezia nel 2013.
Nelle sue tele sono chiari gli echi del passato. L’osservazione profondamente metabolizzata di Cubismo, Espressionismo, Surrealismo lascia tracce in opere originali, che non assomigliano a quelle di nessun altro artista e che si pongono come vette – a suo tempo non di rado incomprese – della pittura della seconda metà del Novecento. Maria Lassnig (Kappel am Krappfeld, 1919 – Vienna, 2014) è stata definita come un’artista “onesta fino alla soglia del dolore”, e la sua onestà sta senza dubbio alla base del rapporto mai pacificato con se stessa e con il proprio corpo: gran parte dei dipinti sono proposti da lei stessa come autoritratti, siano essi realisti o mascherati dietro a oggetti. È questo il nucleo tematico più importante che non è mai venuto meno nel corso di tutta la lunga produzione di Lassnig, nonostante altre sperimentazioni stilistiche siano state ricche e differenti l’una dall’altra: da una ricerca sulla percezione assoluta del colore a una fase informale, da una predilezione verso le superfici colorate al protagonismo degli animali, ancora dal linguaggio del corpo all’adesione a un femminismo che raggiunge il suo climax nella rappresentazione di una “Queen Kong” contrapposta al noto bestione “King”, icona di forza maschile sulla città.
PITTRICE PRIMA DI TUTTO
Visti in sequenza, i dipinti esposti a Palazzo Pitti – provenienti in gran parte dall’Albertina di Vienna, con un contributo significativo dalla Maria Lassnig Foundation – consentono di percepire la grande forza della pittura, del gesto di quest’artista che permea ogni sua pennellata. Capace di ritratti realistici intensi e struggenti (Uva triste, per esempio), ma spesso votata a forme meno definite, a linee dai colori sgargianti o dalle tonalità pastello che rendono sinteticamente il nucleo più intimo della forma del suo stesso corpo, Lassing credeva autenticamente nell’uso di matita e pennelli (“attrezzi primordiali”, li definiva), nonostante abbia partecipato a un’epoca che vide il boom della performance, degli happening. Affermò infatti che “dipingere significa sfruttare appieno le capacità visive, prima che l’umanità le perda a causa della fotografia: saper utilizzare gli occhi, percepire lo spostamento di un decimo di millimetro che fa di un volto un individuo o che modifica l’individualità stessa”.
UNA TERRA CHE TORMENTA
Maria Lassnig era austriaca. Come Egon Schiele, come Oskar Kokoschka, come Thomas Bernhard. Sembra che quella terra montuosa, incastrata in mezzo al continente europeo, abbia spesso dato i natali – pur senza generalizzare – a espressioni artistiche poco pacificate, a manifestazioni di intenso dolore interiore, siano queste legate a contesti storici drammatici o semplicemente una modalità intima e personale, come per Lassnig, di porsi nei confronti del mondo esterno.
– Marta Santacatterina
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