Una performance che guarda all’Europa. Intervista a Ruben Montini

Alla galleria BWA di Varsavia è andata in scena una nuova performance di Ruben Montini che parla di Europa, del senso di unione, e della necessità di restare coesi. Nel frattempo, a poche centinaia di metri, gruppi neonazi protestano contro uno spettacolo teatrale. Abbiamo scambiato qualche parola con l'artista.

Per arrivare alla BWA di Varsavia, tra le più influenti e mirate gallerie in città, attraversiamo il quartiere nei dintorni dello stadio nazionale. L’atmosfera intorno è tesa: gruppi ultra-conservatori e ultra-cattolici protestano con fumogeni, cori e canzoni di stampo religioso, davanti al teatro Powszechny.
Il motivo delle proteste è la messa in scena dello spettacolo The Curse, diretto dal regista croato Oliver Frljic che, stando alle tesi dei manifestanti, avrebbe oltraggiato simboli e figure della cultura cattolica.
Il sit-in dei manifestanti è appena iniziato (col supporto della polizia compiacente). A nessuno è consentito entrare nel teatro, spettatori, inservienti o curiosi. Tutto intorno è un trambusto, l’aria è pregna di fumo, le strade costeggiate da lattine vuote di birra a basso costo. La politica populista, anti-europea, ultra-radicale, che ha dilagato in seguito alla vittoria del partito conservatore PiS nel 2015, ha fatto precipitare la cultura locale in un nuovo medioevo.
Niente di nuovo dietro l’angolo, dunque, tutto come da copione – d’altronde situazioni del genere sono ormai all’ordine del giorno. Ma sembra bizzarro che tutto stia succedendo a poche centinaia di metri dalla BWA. Chissà se tutta questa massa di testoni pelati che sbraitano slogan da stadio conoscono Ruben Montini. Il dubbio resta, ma, se anche così fosse, di sicuro non ne apprezzerebbero la ricerca.

Ruben Montini, One Person Protest, 2017. Performance. Photo Anna Jochymek. Courtesy dell’artista & Prometeogallery di Ida Pisani, Milano & BWA Warszawa, Varsavia

Ruben Montini, One Person Protest, 2017. Performance. Courtesy dell’artista & Prometeogallery di Ida Pisani, Milano & BWA Warszawa, Varsavia

L’INTERVISTA

Classe 1986, l’artista sardo di base a Berlino ha basato gran parte della sua giovane carriera sullo studio delle tematiche legate al mondo queer, al corpo inteso come strumento politico, fino alle recenti riflessioni sul senso dell’Europa e sui suoi sogni traditi.
E proprio l’Europa è ancora al centro dello studio relativo alla performance One Person Protest, realizzata negli spazi della BWA, in parallelo alla mostra di Małgorzata Szymankiewicz, Stretching of Concepts.
L’idea della performance è immediata, visivamente diretta, forse meno poetica rispetto a molte delle sue procedenti azioni, perché giocata sulla necessità di un messaggio assai più dichiaratamente politico: l’artista è steso sul pavimento della galleria, interamente coperto da una bandiera dell’Unione Europea su cui figura la scritta “Wenn wir nicht dafür sorgen, Dann wird das niemand Anderes machen”, tradotto in italiano “Se non lo facciamo noi, non lo farà nessuno”.
Concluse le due ore di performance lo raggiungiamo per farci chiarire il motivo di questa nuova azione.

La performance ha una presenza visivamente molto semplice e immediata. L’oggetto in questione è sicuramente la frase in tedesco stampata sulla bandiera. Che interpretazione dai a essa?
Wenn wir nicht dafür sorgen, Dann wird das niemand Anderes machen” è una frase pronunciata da Martin Schulz, ex presidente del Parlamento Europeo, nel suo discorso da presidente eletto del Partito Socialdemocratico di Germania (SPD), quando il 19 marzo ha ottenuto il 100% dei voti diventando così il candidato Cancelliere alle prossime elezioni contro Angela Merkel.
Con questa frase il politico invitava i cittadini tedeschi a cooperare per il miglioramento e il rafforzamento della Germania. Tuttavia, nella stampa italiana la frase è stata (ingenuamente?) fraintesa, attribuendo come oggetto del discorso l’Europa.
Sia che la notizia sia stata volutamente travisata o meno, la frase può comunque essere ampiamente usata in riferimento a questo momento contingente dell’Unione Europea, momento storico nel quale la chiamata alla collaborazione è incredibilmente urgente per salvare la EU.

Ruben Montini, One Person Protest, 2017. Performance. Photo Anna Jochymek. Courtesy dell’artista & Prometeogallery di Ida Pisani, Milano & BWA Warszawa, Varsavia

Ruben Montini, One Person Protest, 2017. Performance. Courtesy dell’artista & Prometeogallery di Ida Pisani, Milano & BWA Warszawa, Varsavia

Una performance che parla dell’Europa, per di più in un Paese come la Polonia, dove i sentimenti anti-europeisti sono più forti che altrove. Qual è l’urgenza e quali le intenzioni che ti hanno portato a un progetto simile?
L’urgenza sta proprio nei movimenti anti-europeisti che continuano a nascere ovunque, non solo in Polonia. Nonostante Brexit abbia dimostrato le possibili conseguenze disastrose di una politica di questo tipo, i nazionalismi sono tornati alla ribalta: secondo questi nuovi movimenti “destroidi” solo una nuova autonomia nazionale può salvarci in questo momento così drammatico.
Io penso esattamente l’opposto. Sono convinto che soltanto l’Europa come Unione possa essere in grado, unita, di superare questa crisi e di sconfiggere il terrore. L’essere uniti politicamente ed economicamente implica, va da sé, l’essere uniti anche nella forza militare e dunque nella cooperazione all’abbattimento del terrorismo: sarebbe un suicidio collettivo se l’Europa collassasse proprio in questo momento e ogni Paese dovesse tornare a organizzarsi e a difendersi da solo.

Negli ultimi anni la tua pratica ha toccato con costanza tematiche legate al corpo come strumento politico, alla sessualità, al mondo queer. Avverti una responsabilità maggiore, una urgenza specifica, nel portare la tua ricerca qui in Polonia, dove da due anni la vittoria del partito populista ultra-cattolico, ha fatto precipitare il Paese in una sorta di nuovo medioevo?
Il mio lavoro si è sempre sviluppato attorno all’uso del corpo anche come strumento politico, e attorno alle tematiche queer, in quanto io lo sono. In questa performance, nello specifico, il mio corpo, che respira e che è – dunque – vivo sotto la bandiera europea, diventa il corpo dell’Unione stessa: viva, appunto, ma che ha bisogno di forze per andare avanti.
Ho cucito con dedizione la frase di Martin Shulz sulla bandiera, così come nel 2009 mi ero tatuato “FROCIO” sulla gamba. Il concetto di questa frase così forte e così attuale deve essere, secondo me, un grido di incoraggiamento per tutti gli europei. Se non salviamo noi, oggi, l’Europa, nessuno la riunificherà tra un decennio o due.
Quello che pochi argomentano parlando dell’Europa è che l’Unione Europea funge anche da garante perché all’interno dei suoi Paesi membri vengano garantiti i diritti fondamentali a tutti i cittadini. L’Italia stessa ha dovuto approvare le leggi circa il riconoscimento delle coppie di fatto in seguito alle pressioni di Bruxelles. Se la Polonia uscisse dall’Unione Europea, ci sarebbe da preoccuparsi seriamente per tutte le persone che non si configurano nello stereotipo conservatore di stampo cattolico.

Ruben Montini, One Person Protest, 2017. Performance. Photo Anna Jochymek. Courtesy dell’artista & Prometeogallery di Ida Pisani, Milano & BWA Warszawa, Varsavia

Ruben Montini, One Person Protest, 2017. Performance. Courtesy dell’artista & Prometeogallery di Ida Pisani, Milano & BWA Warszawa, Varsavia

Nel 2015 hai preso parte al progetto Pomada, curato da Karol Radziszewski al CCA di Varsavia. Ora torni con una performance inedita alla BWA. Le tue incursioni in Polonia sono dovute solo a collaborazioni occasionali o c’è un particolare interesse da parte tua verso il contesto politico locale?
La mia performance al Castello Ujazsdowski non è stata la mia prima azione in Polonia. La primissima esperienza era stata al COCA di Torun quando nel 2012 Dobrila Denegri mi aveva invitato a far parte della grande mostra sulla storia della performance Theatre of Life.
Ma il mio interesse e il legame con la Polonia nascono molto prima: avevo iniziato, infatti, un progetto di ricerca accademico che analizzava proprio le differenze tra artiste femministe e artisti gay che facevano attivismo in Italia e in Polonia dalla fine degli Anni ’80 ai giorni nostri, prendendo in analisi questi due Paesi proprio come quelli più cattolici tra le nazioni europee. Mi interessava capire come questi artisti avessero fatto fronte a due società simili per tradizione religiosa, anche se poi provenienti da background politici diversi: la Polonia dallo sfascio del blocco sovietico e l’Italia dall’eredità democristiana e poi berlusconiana.

Porterai questa performance altrove? Che altri progetti ti aspettano?
Solitamente non ripeto le mie performance, ma per i contenuti e l’urgenza dell’azione in questo momento storico, sarebbe bello riuscire a portare questa performance in tutti i Paesi europei.
In questo periodo sto lavorando a Questo anonimato è sovversivo, un progetto a più tappe che è iniziato a fine aprile presso la Royal Needlework School di Londra e che porterò al Museum Europäischer Kulturen di Berlino il 10 giugno e, infine, in autunno, in Sardegna. Un progetto che coinvolge diverse istituzioni e diverse persone durante la performance: una sorta di ricamo collettivo a distanza, innescando meccanismi di collaborazione e co-operazione tra individui che non si conoscono e che probabilmente mai si incontreranno, ma che condividono tra loro il fatto di vivere in Europa.

Alex Urso

www.bwawarszawa.pl

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Alex Urso

Alex Urso

Artista e curatore. Diplomato in Pittura (Accademia di Belle Arti di Brera). Laureato in Lettere Moderne (Università di Macerata, Università di Bologna). Corsi di perfezionamento in Arts and Heritage Management (Università Bocconi) e Arts and Culture Strategy (Università della Pennsylvania).…

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