Skulptur Projekte Münster 2017. Riflessioni, foto, video e le 5 opere migliori
La chiamano "la più importante mostra di scultura al mondo". Quest'anno l'edizione non è stata particolarmente entusiasmante, ma probabilmente è semplicemente il segno di questi tempi. Cose importanti però ce n'erano eccome. Ecco qualche riflessione
Il Grand Tour europeo delle importanti mostre d’arte contemporanea di giugno prosegue quest’anno da Kassel (dove documenta capita ogni 5 anni) a Münster (dove lo Skulptur Projekte, inventato 40 anni fa da Kasper König, capita addirittura ogni 10). Il momento per la produzione artistica occidentale non è propriamente dei migliori e allora dopo le delusioni più o meno cocenti di documenta, anche lo Skulptur Projekte non fa di certo spellare le mani dagli applausi. Tante le opere deboli, scontate, velleitarie, tanti nomi super noti e super attesi (Oscar Tuazon, Cerith Wyn Evans, sì stiamo dicendo proprio a voi) che invece hanno offerto prove incolori. A questo si aggiunge poi una disorganizzazione che tuttavia per fortuna non assurge alle inarrivabili vette di documenta (poi uno dice i tedeschi…). Una visita alla sedicente “più grande mostra di scultura al mondo” è tuttavia caldamente raccomandata anche quest’anno. Assegnando una menzione a Nicole Eisenman ed a Hervé Youmbi per la capacità che hanno avuto di affrontare due peculiari aree verdi e segnalando che per motivi di attese insostenibili non abbiamo potuto vedere l’opera di Gregor Schneider (che molti favoleggiavano come molto interessante e che dunque magari chissà sarebbe potuta entrare in classifica), ecco la graduatoria delle nostre preferenze.
– Massimiliano Tonelli e Marco Enrico Giacomelli
AYSE ERKMENS
Dopo una partecipazione nel 1997 e dopo che un suo progetto per la celebre cattedrale San Paolo di Münster era stato rifiutato, l’artista Ayse Erkmen (Istanbul, 1949) torna allo Skulptur Projekte con l’opera che più di ogni altra ci ha convinto. Una passerella unisce finalmente le due sponde di un canale nell’area portuale della città. Da una parte si è già sviluppata una nuova forma di socialità con bar e ristoranti che hanno preso il posto di magazzini e spazi industriali, dalla parte opposta il tempo sembra essere invece fermo a decenni fa. Ora però c’è un ponte. Peccato che la superficie del passaggio sia stata posizionata sotto il pelo dell’acqua e costringa i cittadini e visitatori ad un guado senza scarpe e col bavero dei pantaloni rialzati tra divertimento, timore, condivisione. Con inevitabili e attualissimi riferimenti al Bosforo sui bordi del quale la Erkmen è nata.
PIERRE HUYGHE
Senza neppure l’ombra di un dubbio è l’opera di maggiore impatto e tasso di spettacolarità di tutta la rassegna. Un enorme palazzetto del ghiaccio, pochissime persone fatte entrare per volta. Al posto del ghiaccio artificiale l’artista parigino ha voluto ricreare l’ambiente di una post-glaciazione naturale. L’area, molto vasta, è stata scavata e trasformata in paesaggio lunare, sono state ricavate delle insenature, dei promontori, delle piccole vallate, delle aree umide e degli stagni dovuti all’acqua piovana caduta dai lucernai che si aprono e si chiudono ricorsivamente.
C’è un acquario con un pesce e delle scogliere ricavate dal cemento del pavimento; ci sono due pavoni che si aggirano; nelle pozze degli ‘allevamenti’ di alghe, batteri, mosche e poi due grandi alveari come torri d’argilla, con le api libere di sciamare tra i visitatori. Tutto in uno stato di straniante simbiosi temporanea. C’è la totalità degli elementi della poetica di Pierre Huyghe: organico, inorganico, ancestrale, biologico. E anche tecnologico vista la app che aiuta la visita con tanto di realtà aumentata. Una esperienza indimenticabile.
LARA FAVARETTO
Un blocco di granito, il bozzolo di un monumento nel più classico del termine. Questo sembra, a prima vista, l’opera di Lara Favaretto (Treviso, 1973) per Skulptur Projekte. E però, girandoci intorno, si nota rapidamente una feritoia, quella tipica dei salvadanai. Di questo si tratta, in buona sostanza: di un gigantesco porcellino che, alla fine della manifestazione, verrà distrutto (insieme al suo doppio collocato a Mari, nelle vicinanza di Münster) e il cui ricavato andrà all’associazione Hilfe für Menschen in Abschiebehaft, che si occupa di sostenere i migranti che non hanno ottenuto l’asilo e che attendono dunque di essere “deportati”. Un altro dei suoi Momentary Monuments, serie a cui lavora dal 2009.
JEREMY DELLER
La colonia di giardini e orti di Mühlendfeld è strabiliante: minuscole casette guarnite di piccole aree verdi curate con attenzione maniacale. Le une accanto alle altre, in file ordinate allo spasimo. Nessun rumore, nessun vociare nemmeno di sabato pomeriggio. Forse anche per questa ragione, per quest’approccio maniacale, Jeremy Deller (Londra, 1966) ha invitato – era il 2007 – una cinquantina di club-di-giardinieri della zona e li ha invitati a tenere un diario naturale e climatico per dieci anni. Ne sono scaturiti 33 volumi che possono essere sfogliati in una delle casette e nella veranda attigua. Teoria, pratica e documentazione antropologica, tutto a portata di mano e di vista.
HITO STEYERL
Una volta allargato il campo della scultura – come ci ha insegnato Rosalind Krauss in un saggio di qualche decennio fa –, questo stesso campo non farà altro che continuare a espandersi. E allora perché non dovrebbe farlo verso la robotica e le complesse procedure che ne verificano resistenza ed equilibrio? Su questo riflette la ritmatissima (grazie alla musica originale di Kassem Mosse) installazione di Hito Steyerl (Monaco di Baviera, 1966), allestita all’interno del palazzo di LBS West. E c’è spazio anche per una non banale riflessione sul rapporto fra guerra e computer technology.
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