È morto Marcello Mariani, l’artista informale simbolo de L’Aquila
Pittore e scultore formatosi sulla scia della lezione di Fontana, Burri e Beuys, è scomparso lo scorso 23 luglio nel capoluogo abruzzese, la sua amata città natale. All’indomani del sisma che ha colpito l’Aquila, con i frammenti trovati tra le macerie dava vita a nuove opere, come segno di speranza e di rinnovata bellezza
Era diventato il simbolo dell’anima ferita ma indomita dell’Aquila dopo il devastante terremoto del 2009, dell’arte che non si arrende di fronte all’orrore per continuare a generare bellezza. Ieri sera, a 78 anni, in Abruzzo, ci ha lasciati Marcello Mariani (L’Aquila, 1938-2017), artista di matrice informale e di grande sensibilità umana e pittorica.
LA FORMAZIONE E IL SUO AMORE PER L’AQUILA
La sua formazione era stata influenzata dall’esempio e dall’opera di artisti come Lucio Fontana, Alberto Burri e Joseph Beuys che lo indussero a sviluppare una visione sempre più poetica ed anarchica del mondo. Prima del terremoto, Mariani lavorava nel suo bellissimo studio in Via Sassa, poi distrutto dal sisma, una chiesa sconsacrata in senso confessionale che però si appropriava di una nuova sacralità proprio grazie al lavoro sciamanico dell’artista abruzzese. Dopo aver perso studio e abitazione, lo si vedeva camminare in silenzio nella periferia dell’Aquila deturpata, lungo strade deserte di quartieri evacuati. E all’improvviso capitava di vederlo chinarsi per raccogliere polvere e frammenti di cemento, pezzi di intonaco frantumato. Li usava per creare nuove e bellissime opere astratte in cui c’è, anche fisicamente, tutta quell’apocalisse. Ma soprattutto in quei quadri si respira un senso di rinascita e di speranza. Dalla distruzione e dal dolore sorgeva così una nuova bellezza, inquieta e trepidante. In realtà, dopo la perdita dello studio e dell’abitazione e di fronte alla sua amata città ridotta in macerie, forse l’artista aquilano aveva cominciato a morire dentro, giorno per giorno, lentamente, anche se i familiari, con il figlio Daniele in prima fila, avevano creato per lui, fuori dalla città, un nuovo atelier insieme alla casa.
LA PARTECIPAZIONE ALLA BIENNALE DI VENEZIA E LA VOCAZIONE COSMOPOLITA
E non erano mancate le soddisfazioni professionali, dalla grande mostra antologica del 2009 nelle sale di Palazzo Venezia, a Roma, alla partecipazione al Padiglione Italia della 54a Biennale di Venezia, nel 2011. Legatissimo alle proprie radici abruzzesi e nel contempo cosmopolita per vocazione, poteva ricordare con la stessa emozione un viaggio in Madagascar (“in una notte chiarissima, stellata quasi a giorno, il cielo si rifletteva nelle conchiglie bianchissime. Di fronte a quella bellezza così sovrumana mi chiedevo in che modo e con quale obiettivo potessi continuare a dipingere”) ma senza andare troppo lontano ci parlava quasi trasognato anche dei campi arati sommersi dai papaveri che aveva visto nei dintorni dell’Aquila, dell’assordante silenzio delle montagne, e poi della vitalità della pioggia, del vento, dei semi.
– Gabriele Simongini
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