Robert Rauschenberg vince la Biennale del 1964. Un film svela i retroscena

Il successo del pittore statunitense consacrò la Pop Art americana a livello internazionale, ma la sua vittoria non fu estranea a polemiche e addirittura a teorie complottiste. Oggi un documentario realizzato da Amei Wallach prova a fare chiarezza sulle vicende di allora, attraverso filmati d’archivio e interviste a noti personaggi del mondo dell’arte

Nonostante siano passati più di cinquant’anni, si ritorna ancora a parlare della partecipazione e della vittoria di Robert Rauschenberg (Port Arthur, 1925 – Captiva Island, 2008) alla Biennale di Venezia del 1964, avvenimento tanto chiacchierato quanto dibattuto in quegli anni, condito da gossip e presunte teorie complottiste. Oggi un documentario riapre il caso che segnò un momento importante della storia dell’arte contemporanea, ovvero il riconoscimento della Pop Art americana su scala internazionale. Americans in Venice: Robert Rauschenberg Rewrites the Rules è il film diretto dal produttore e regista Amei Wallach che attraverso interviste, filmati e immagini d’archivio, ricostruisce le vicende legate alla vittoria di Rauschenberg a Venezia, e che sarà distribuito da marzo 2018.

Robert Rauschenberg

Robert Rauschenberg

LA BIENNALE DEL 1964 E LA CONTESTATA VITTORIA

Gli anni Sessanta furono particolarmente turbolenti non solo dal punto di vista sociopolitico, ma anche artistico. Le edizioni della Biennale di Venezia di questo decennio furono quasi tutte caratterizzate dalle polemiche, rivolte in primo luogo alla critica della relazione con il mercato e alla scelta di invitare alla manifestazione un gran numero di artisti. Quella del 1964, in particolare, può essere considerata la Biennale della svolta: il premio riservato all’artista straniero fu assegnato a Rauschenberg, determinando la consacrazione della Pop Art americana in Europa. Questa vittoria, però, sottenderebbe avvenimenti di non chiara comprensione. Le prime polemiche furono sollevate a causa del numero di opere che Rauschenberg presentò al padiglione statunitense, “soltanto” quattro, una quantità considerata allora troppo esigua per vincere il Leone d’Oro. Subito dopo la vittoria, all’esposizione furono aggiunte altre opere provenienti da un’altra mostra dedicata all’artista, in quel momento in corso presso il Consolato americano di Venezia.

Robert Rauschenberg, Monogram, 1955-59 – Moderna Museet, Stoccolma. © Robert Rauschenberg Foundation, New York. Courtesy Tate Photography

Robert Rauschenberg, Monogram, 1955-59 – Moderna Museet, Stoccolma. © Robert Rauschenberg Foundation, New York. Courtesy Tate Photography

IL DOCUMENTARIO DI AMEI WALLACH

Stando alla ricostruzione di Wallach, il Leone d’Oro a Rauschenberg avrebbe fatto nascere teorie relative a vicende e interessi che vanno oltre l’ambito prettamente artistico. Il film infatti racconta di intrighi politici, cospirazione e suspense, tutti elementi che in quegli anni di guerra fredda caratterizzavano le dinamiche politiche internazionali. Alcuni sostenevano che la vittoria di Rauschenberg fosse opera di un complotto della CIA o del Dipartimento di Stato, altri invece che fosse stata determinata dall’aggiunta last-minute di un americano nella giuria. Oltre a filmati e immagini d’archivio, il documentario è arricchito dalle interviste di numerosi personaggi del mondo dell’arte, come Christo, Mark Bradford – che quest’anno rappresenta gli Stati Uniti alla Biennale –, Shirin Neshat, Marina Abramovic e la direttrice della Biennale 2017 Christine Macel.

– Desirée Maida

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Desirée Maida

Desirée Maida

Desirée Maida (Palermo, 1985) ha studiato presso l’Università degli Studi di Palermo, dove nel 2012 ha conseguito la laurea specialistica in Storia dell’Arte. Palermitana doc, appassionata di alchimia e cultura giapponese, approda al mondo dell’arte contemporanea dopo aver condotto studi…

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