Didattica, memoria e responsabilità. Intervista a Miroslaw Balka
Protagonista della mostra allestita presso l’HangarBicocca di Milano, l’artista polacco approfondisce le linee guida della sua pratica, allergica alle definizioni troppo nette.
Nato a Varsavia, classe 1958, Miroslaw Balka anima gli spazi della sede espositiva milanese, affrontando tematiche attuali e condivise e puntando sulla diretta partecipazione del pubblico, attraverso uno sguardo lucido, che non teme la dimensione del dubbio. Proprio come in questa chiacchierata.
Nella tua mostra personale, dal titolo Crossover/s, in corso allo spazio Pirelli HangarBicocca di Milano, il pubblico ha un ruolo performativo e non di semplice spettatore. Ogni qual volta il pubblico attraversa le opere e interagisce con esse, assistiamo allo svelamento di un’esperienza dal vivo, secondo prospettive diverse.
Sì, è vero. Lo spettatore non si limita a guardare la mostra ma la trasforma in un’esperienza in cui sono coinvolti i cinque sensi.
Consideri questo tipo di esperienza un modo di condividere la conoscenza e di rendere i partecipanti attivi nel processo creativo?
Non penso che il processo creativo sia solo una questione di conoscenza. Credo che abbia a che fare con il non sapere, con il mistero della condivisione, con i punti interrogativi e i dubbi. Il termine conoscenza quindi non procede insieme alla mia arte, la quale è piuttosto un’adesione a ciò che è sconosciuto e una ricerca di possibili risposte durante questo cammino di compartecipazione.
Mi sembra che in questa tua prima retrospettiva in Italia ogni lavoro sia dotato di un lessico la cui intensità pedagogica è indice della ricchezza dello scambio che intercorre durante la visita.
È difficile rispondere a questa affermazione. Il lessico dipende da ogni singolo testimone della mostra e non credo che i lavori esposti riguardino l’educazione. Credo invece che testino le possibilità della mente. Non li definirei quindi pedagogici, piuttosto un tentativo di condividere un’esperienza, la mia in particolare. Questo processo di scambio avviene fra tre elementi: io artista, il visitatore e l’opera tra noi due. È una specie di trittico collocato in uno spazio particolare, all’interno di un contesto che potremmo anche definire un palcoscenico adatto a un’attività di scambio che include l’opera d’arte.
Questo modo di procedere nella scoperta garantisce alle differenze di emergere? Descrive ciò che accade dentro e fuori di noi? Quale estetica si associa ai semplici oggetti della vita quotidiana in relazione alla figura umana?
I semplici oggetti non sono una semplice risposta o una semplice domanda. La semplicità è molto più difficile della complessità.
Le diciotto opere in mostra considerano la Storia come un elemento mescolato a ricordi privati. Come chiarisce il fotografo Allan deSouza, la Storia è una disciplina professionalizzata il cui compito è di registrare, rappresentare e creare finzioni narrative, ma anche di selezionare e giudicare.
Non credo alla professionalizzazione. La Storia è apparentemente molto professionale, ma nella ricostruzione dei fatti rivela il suo dilettantismo, sempre individuale e non così verticale come appare da una prospettiva temporale. Non si tratta di scorgere le cime delle colline, piuttosto di vedere le valli che sono all’ombra delle colline. In genere, conosciamo invece soltanto le cime delle colline della Storia.
In opposizione critica alle versioni certificate della Storia troviamo una quantità di generi meno o per niente ufficiali, quali la storia orale, la storia popolare, la contro-storia, la genealogia, i palinsesti, l’autobiografia, il romanzo, l’arte, la teoria del complotto, la narrativa filosofica (come storia dello sconosciuto). L’arte in particolare costruisce storie legate all’immaginazione, così come ad altre numerose possibilità. Qual è il legame per te tra Storia e Memoria?
Non esiste un numero fisso di possibilità, che sono sempre molto relative e dipendono dal contesto. Non credo in un unico strato di vita, ma in molti strati e il loro spessore cambia in ogni momento della vita. Quello che è importante per me sono le storie private che ci portiamo dietro, non la Storia in generale. Non ne esiste solo una, dato che essa è sempre la somma di storie individuali. Il legame tra Storia e Memoria è che la Storia è attiva nella nostra Memoria ed è la sua stessa essenza – e se non è viva nella nostra Memoria, semplicemente non è Storia.
La tua attività di insegnante presso il corso di Studio delle Attività Spaziali all’Accademia di belle Arti di Varsavia funge da piattaforma partecipativa per esplorare le strutture di apprendimento e di istruzione.
Sono un docente ma il mio sistema di insegnamento consiste nel condividere con i miei studenti i dubbi che ho menzionato all’inizio. Tento con loro di scendere nel sottosuolo per trovare ciò che non è stato ancora scoperto e questo per me è sempre il punto di partenza. Sino ad arrivare sotto il punto zero. E poi da questo buio risaliamo, ma ricordando che è sempre importante trovare il terreno – e talvolta per trovarlo bisogna scavare a una profondità di cento metri. Una volta trovato, si può risalire verso la leggerezza. Come nella famosa canzone di Drupi, Sereno è: “Sereno è scivolare dentro il mare e poi senza il peso dei pensieri miei giù nel buio la conferma che lassù in alto sempre tu ci sei che alla luce aspetti me”.
Come pensi possa essere trasferita la conoscenza e come la politica degli affetti incide sulla nostra società?
Cerco di evitare la parola “conoscenza” in relazione all’arte. Se sei sicuro delle tue conoscenze nel campo dell’arte, significa che hai già perso. Potremmo anche considerare questa attitudine come una raccomandazione alla nostra società o un modo di ricostruire la nostra società. A partire dalla seconda metà del XX secolo e sino a poco tempo fa, si pensava che il fondamento sul quale si basava la società fosse solido – in virtù del fatto che era costruito sulla Conoscenza. Siamo arrivati al punto in cui finalmente abbiamo capito quanto debole fosse questa fede negli edifici verticali. E questa non è la strada giusta. Perché anche se saliamo sulla montagna più alta, dovremo a un certo punto iniziare a scendere. Questo tipo di riconoscimento della vita attraverso le pratiche orizzontali è molto importante sia per la società che per la politica. Per fortuna, ora – o piuttosto purtroppo – i tanti conflitti intorno a noi ci spingono a capire che, in quanto comunità, interroghiamo le nostre paure. Il processo di distruzione ci permette al tempo stesso di costruire qualcosa.
Sei d’accordo con quello che l’artista francese Robert Filliou afferma nel suo libro Insegnamento e apprendimento come arti dello spettacolo (1970), ovvero che la funzione dell’artista è simile a quella dell’insegnante?
Sì, dipende da come concepisci l’insegnamento. Considero il mio modo di insegnare uguale al processo che utilizzo per realizzare la mia arte. Non vedo alcuna differenza tra l’insegnamento agli studenti e il lavoro nel mio studio, perché riguarda sempre il senso di responsabilità.
Infatti gli studenti possono scegliere di confermare i valori in base alle categorie e alle istituzioni a cui appartengono, oppure – in alternativa – possono creare uno spazio per sperimentare un approccio diverso all’opera e alla pedagogia sulla base dell’idea che l’arte e l’educazione sono processi che implicano “L’arte di perdersi senza sentirsi perduti” contro la gerarchia imposta dalla visione di un sistema educativo molto conservatore e dalle strategie del mercato dell’arte. Come valuti a questo proposito la crescita delle scuole d’arte fondate dagli artisti? Esprimono la preoccupazione degli artisti circa il futuro della cultura e l’importanza di progetti che mirano a educare e sostenere gli studenti più giovani?
Ci sono artisti e artisti. Quando si pensa alle scuole d’arte autogestite dagli artisti, bisogna tenere presente che esistono artisti diversi. A volte è difficile dire se un buon artista è anche un buon insegnante, poiché talvolta artisti mediocri sono dei buoni insegnanti. Starei attento alle definizioni. Anche perché non bisogna essere necessariamente un artista per essere un buon insegnante. Non condivido l’idea che ogni artista sia anche un buon insegnante. Tutto dipende dalle caratteristiche individuali. Il processo di istruzione è un processo di condivisione. Siamo sulla stessa piattaforma e non credo nella gerarchia. Avere tanta esperienza in questo campo a volte non significa nulla. Aiuto gli studenti a considerarsi miei pari anche se più giovani – che è esattamente il compito di ogni educatore.
– Maria Rosa Sossai
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