Luca Rossi? Non è solo Enrico Morsiani. Artribune svela l’identità segreta a otto anni di distanza
Imperversa sul web da otto anni, lanciando j’accuse e giudicando il mondo dell’arte, ma anche proponendo delle azioni. Tutti, fino ad oggi, lo avevano identificato esclusivamente con Enrico Morsiani. Oggi invece Luca Rossi cala la maschera e svela l’identità che si cela sotto il proprio nome.
Chi frequenta abitualmente il nostro sito non può non conoscerlo. Imperversa nel commentario di Artribune e sui social network da otto anni sotto l’identità segreta di Luca Rossi, l’uomo che parla d’arte contemporanea sotto un nome qualunque, servendosi quasi esclusivamente degli strumenti offerti dal web. Ma anche di operazioni artistiche immaginate e divulgate sempre tramite il sito, o non autorizzate all’interno dei maggiori musei, gallerie, ed istituzioni internazionali. Lancia j’accuse, appelli, strali, contro il sistema dell’arte e le sue distorsioni. Giudica gli artisti giovani o midcareer, colpevoli, a suo parere, di portare avanti un’arte da bricolage, che segue facili istruzioni (definita “ikea evoluta”) o di essere soggetti improduttivi, sostenuti economicamente dalla “nonni-genitori foundation”. Un po’ di storia? Nel 2009 apre il blog Whitehouse, successivamente confluito nei siti lucarossilab.it e lucarossicampus.com, nel 2010 viene definito dall’attuale direttore del Centro Pecci di Prato, Fabio Cavallucci “la personalità artistica più interessante nel panorama italiano”, nel 2013 il direttore uscente della GAMeC di Bergamo Giacinto Di Pietrantonio ne parla come della “nuova Vanessa Beecroft”, proprio sulle nostre colonne.
L’IDENTITÀ SEGRETA SVELATA
C’è chi lo ama, c’è chi lo odia, chi lo considera “leggermente ripetitivo”, chi l’ha definito la “primula rossa dell’arte italiana”, chi sostiene che semplicemente sia insopportabile. Fin dagli esordi però tutti vogliono sapere chi si celi dietro al personaggio di Luca Rossi. Il mirino, nel corso degli anni, è stato puntato su Enrico Morsiani, artista nato a Imola nel 1979, identificato come unico responsabile dell’operazione. Poi, successivamente, si comincia a parlare di una identità collettiva, ma Morsiani, anche nel caso di questa intervista (realizzata, comunque, con l’accordo dei membri del gruppo), resta sempre l’unico frontman del gruppo: partecipa ai Martedì Critici di Alberto Dambruoso ed interviene in altre situazioni pubbliche, non lasciando alcun dubbio: Luca Rossi è solo lui. E invece no. E oggi, su Artribune, cala la maschera…
–Santa Nastro
Luca Rossi cala la maschera: chi sei veramente? Da sempre si dice che Luca Rossi è Enrico Morsiani, ma forse c’è di più…
È interessante che tutti vogliano sapere chi è Luca Rossi, oppure chi è Banksy. Sono domande lecite ma nascondono l’idea che avere a che fare con un soggetto solo permetta di catalogarne, inscatolarne, controllarne l’intenzione. Ansia del Novecento. La domanda vera è: chi è Luca Rossi per te che mi intervisti? Ovvero, cosa crea in te Luca Rossi, cosa mi fa pensare, scrivere, in che modo agisco diversamente da quando leggo Luca Rossi? Vale per te e per i tuoi lettori.
Ok, ma vogliamo dare qualche nome, finalmente?
Alcune persone che dichiarano essere Luca Rossi sono per lo più artisti, uniti sotto questa identità collettiva: Pino Boresta, Stefano W. Pasquini, LaRisultante (Samuele Papiro), Simone Rondelet, Enrico Conte, Enrico Morsiani, Roberta Rose Cavallari, la ricercatrice in letteratura Sara Ceroni, residente negli Stati Uniti, Andrea Amaducci, Michele Mariano, Gian Paolo Renzi.
Questo gruppo di persone cosa fa e perché ha scelto di riunirsi?
Cerca di fare critica con i metodi che l’arte consente, quindi anche l’anonimato e l’essere un collettivo. In ogni caso Luca Rossi è un ‘identità singola che chiunque può vestire. Questo gruppo di persone è nato in modo del tutto spontaneo, si tratta di persone che si dedicano anche ad attività non sempre inerenti all’arte, proprio per poter mantenere un giudizio critico ed un percorso realmente indipendente rispetto al sistema. Penso che il “professionismo”, riguardo l’arte contemporanea, tenda a portare un preoccupante appiattimento e omologazione dei contenuti.
Qual è il vostro modo di lavorare? Come fate a prendere decisioni?
Non siamo un club o un’associazione, dal momento che veramente chiunque al mondo può essere Luca Rossi, ognuno si coordina e prende decisioni in modo indipendente; altre volte ci confrontiamo tramite una mailing list e poi alcuni agiscono in modo operativo. Mi piace la spiegazione che fornisce Giorgio Agamben rispetto un concetto del filosofo Gilles Deleuze: l’atto creativo è un’atto di resistenza verso noi stessi. Io posso assecondare o trattenere un altro Luca Rossi che ha agito prima di me e in modo diverso.
Che ruolo aveva (se ce l’aveva) la Galleria di Lino Baldini, Placentia, dove peraltro hai fatto una mostra nel 2014, prima di passare nelle mani della nuova gestione?
L’unico ruolo di Lino Baldini è stato quello di aver lavorato molto strettamente con Enrico Morsiani, e quindi anche lui è stato indicato come uno dei tanti “Luca Rossi”.
La vostra azione si svolge soprattutto sul web, con azioni che spesso si riferiscono a contesti istituzionali reali, come la Fondazione Prada, la Tate, etc. Non sentite il bisogno di confrontarvi davvero con questi o altri spazi espositivi, invece che in maniera fittizia? Non avete paura dell’effetto vorrei ma non posso?
Parti dal presupposto che il fittizio sia contrario al Reale. Non siamo un gruppo di attivisti sociali, né di documentaristi. Invece di fare un taglio sulla tela, Fontana non poteva dire a voce cosa voleva dire? No. Non poteva. Michelangelo non avrebbe potuto leggere i versetti dell’Apocalisse sul Giudizio Universale? No. Non poteva. La domanda è: queste istituzioni non sentono il bisogno di confrontarsi davvero con qualcosa che non gestiscono?
In realtà mi sono confrontato anche con spazi reali, come, per esempio, in questi giorni in Val Badia per la mostra a cielo spero SMACH 2017 o all’interno della Biennale di Venezia 2017. Ogni mio progetto mantiene volutamente un’ambiguità sul luogo in cui è “installato”, questo perché vorrei sempre installare il progetto o l’opera d’arte nella dimensione privata, micro e locale dello spettatore. Quando lo spettatore è a casa sua, in ufficio o in giro per il mondo. Mi interessa installare l’opera soprattutto in questi interstizi di silenzio e solitudine.
Una delle tue definizioni per eccellenza è “Nonni Genitori Foundation”, alludendo a quei giovani artisti che si fanno sovvenzionare dalle proprie famiglie per portare avanti il proprio lavoro. Il tema esiste, indubbiamente. Voi invece come vi sostenete per continuare ad essere Luca Rossi?
Io mi sostengo lavorando, facendo un lavoro non inerente all’arte contemporanea. Questo con la precisa volontà di mantenere una reale indipendenza dal sistema che mi permette di essere libero sia dal punto di vista progettuale che dal punto di vista critico.
Con tutto questo commentare e imperversare su web e social non avete paura di essere scambiati un po’ per i grillini dell’arte?
I Grillini, piacciano o no, sono seduti anche in Parlamento. Quindi il paragone è positivo da questo punto di vista. Sicuramente ci sono realtà positive e negative che assumono forme nuove ed esistono perché viviamo in un tempo che non è quello del Novecento. Voi di Artribune quanto spazio date al web e al social?
http://samuelepapiro.tumblr.com
http://www.psq1.com/sr/index.htm
https://www.saatchiart.com/account/profile/59877
http://andreaamaducci.blogspot.it/p/ueehhh.html
http://www.michelemariano.eu
http://www.stefanopasquini.net
www.pinoboresta.com
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