Capricci (II). Mercato dell’arte e distorsione
Quanta distanza intercorre tra il mercato dell’arte contemporanea e l’arte contemporanea stessa? Alla base del successo commerciale di un’opera sembra esserci una sottile distorsione, ben più di quanto avvenga in caso di fallimento.
“Non siamo mai a casa”.
Montaigne
In viaggio per Viterbo, 23 giugno. Tutti i padri sono deboli? Tutti i padri sono deboli.
***
In viaggio da Viterbo, 24 giugno. Mi ricordo, sì, mi ricordo – la Normale con tutta la sua ansia tipicamente pisana, la sensazione prima sconfortante poi piuttosto liberatoria di non essere più il primo della classe, e neanche il secondo o il terzo, se è per questo – ma di essere proprio degradato, quello un po’ svantaggiato tra tutti i “privilegiati” e i “bravi”, l’ingresso del collegio con la portineria e noi tutti intruppati, nel primo mese, in una finzione scadente di nonnismo, nel freddo serale di novembre – i Pink Floyd, i King Crimson e Zabriskie Point, una prima giovinezza sfasata e dislocata nel tempo – in attesa sulle panchine di legno, vecchie vecchie ma ultradignitose, fuori dallo studio, io Fabrizio e Francesca, gli stemmi scolastici in alto, le scale fatte innumerevoli volte, su e giù – e l’entusiasmo smorzato da questo continuo senso di inadeguatezza, da questa paradossale perdita di qualcosa prima ancora di averla pienamente raggiunta o anche solo intravista, sfiorata – perdita preventiva, e quel presente pur essendo irrevocabilmente passato (1998, 1999, 2000…) è e rimane e sempre sarà la struttura interna del mio presentecontemporaneo.
***
In viaggio per Verona, 26 giugno. Il tessuto delle relazioni può anche mostrare, a volte, buchi e vuoti spaventosi – il gusto di “sporgersi”, di spingere e spingere sulla superficie del reale, di non accontentarsi di questo perenne autocompiacimento che sembra aver catturato irreversibilmente la maggior parte degli altri – gli altri che io amo nonostante tutto con passione e disperazione, ogni giorno, e mi dispero proprio per la scorrettezza, per la faciloneria, per la superficialità, per l’arrendevolezza —
(Ore 23) Scoloriti, sbrilluccicanti – Tiger all’aeroporto di Torino, alla stazione centrale di Napoli, intravisto – intravedere, diradare, deragliare, andare alla deriva – non seguire un percorso lineare, predefinito – arbitrio e caos, nient’altro.
Nel molto piccolo vedere il molto grande: “Sono semplicemente divenuto un indolente montanaro che se ne sta seduto su un impervio monte a gambe larghe, intento a spulciarsi in solitudine. Ogni tanto, quando mi garba, scendo ad attingere limpida acqua a valle, e cucino. Assaporo la sobrietà” (Bashō, Il Romitaggio della Dimora Illusoria).
Il mercato dell’arte contemporanea è, ed è sempre stato, cosa ben diversa dall’arte contemporanea. Il successo commerciale di un’opera si basa sempre e comunque su un fraintendimento, su un’incomprensione, su una distorsione. Molto più del suo fallimento. In qualche modo, il successo di un’opera è una forma più sottile, subliminale, irreparabile di fallimento.
L’opera perfetta in questo momento: distrae e distoglie continuamente l’attenzione, ed è frutto di una percezione distratta, deviata e deviante; sembra uno scherzo di cattivo gusto, ma non lo è; sposta i termini della questione, di qualunque questione; è utile nella sua estrema, irredimibile e ottusa inutilità; tende a mischiarsi e a fondersi talmente bene con la vita delle persone e delle comunità, da rendersi indistinguibile rispetto a essa e ai suoi elementi; esiste solo e soltanto in relazione al contesto che sceglie, e non all’interno di uno spazio vuoto, asettico, privo di vita (: l’opera, in effetti, è questa relazione).
Assaporo la sobrietà.
***
In viaggio per Napoli, 29 giugno. Il tessuto della realtà può sfilacciarsi e spappolarsi in ogni momento. Questo rappresenta, in fondo, una grande consolazione.
Ognuno fa la sua partita, come dico sempre a mio fratello – ognuno fa la sua partita, ed è perfettamente inutile stare lì a rodersi, a recriminare, a sbraitare per scorrettezze varie e meschinerie assortite e tiri mancini – tanto tutto si valuta e si considera alla fine. Alla fine – dopo la fine. (Questa fine a cui quasi nessuno pensa, se non in termini gloriosi e cinici e autoassolutori, quando invece è, immancabilmente, “torcia di pidocchi dove si trova il cane nodo di topi e nascondiglio del palazzo di vecchi stracci – le bandiere che friggono nel tegame si contorcono nel nero della salsa d’inchiostro sparsa nelle gocce di sangue che lo fucilano”. Pablo Picasso, Sogno e menzogna di Franco, 1937).
Assaporo la sobrietà.
– Christian Caliandro
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati