Armando Testa, l’uomo con la matita in mano
L’antologica “Tutti gli ‘ismi’ di Armando Testa”, a cura di Gianfranco Maraniello e Gemma De Angelis Testa, celebra al MART di Rovereto i cento anni dalla nascita del “padre della pubblicità italiana”. Opere grafiche e pittoriche, fotografie, film, maquette, installazioni: creatività a 360 gradi, nel nome dell’arte.
Il cappello da cow boy, lo sguardo fiero e indagatore, la propensione al paradosso tradivano in lui, di primo acchito, la dote dell’eccentricità. Ovvero l’innata attitudine a stare fuori dagli schemi, a essere informato su tutto, e a dissacrare quanto risultava frutto di verità da tempo assodate, di false certezze, di sterili conformismi. Si racconta che fin da ragazzo Armando Testa (Torino, 1917-1992) usasse caricare il suo zaino di riviste e libri, d’arte soprattutto, portandoli sempre con sé, anche in guerra in Africa. Arte e vita si fondevano in un’unica esperienza che non gli impediva di interessarsi ai fatti quotidiani, anzi lo spingeva a farsi partecipe della realtà per distillarne il lato dell’“assurdo”, traendone spunti ricchi di ironia. Con la matita alla mano, crebbe come grafico, sensibile ai richiami della comunicazione pubblicitaria che, agli albori del secolo, aveva trovato interpreti assai felici in Leonetto Cappiello e Fortunato Depero, come in molti altri autori particolarmente inclini a mettere a disposizione dell’industria e dei suoi prodotti il loro genio inventivo. Poi venne la lezione del Bauhaus a portare il vento del Modernismo. Testa, che mosse i suoi primi passi in un laboratorio tipografico a Torino, ne afferrò il messaggio.
La linea, la sintesi formale, l’astrazione: questi i suoi incipit, guardando anche a Piet Mondrian, finché il maestro olandese non gli disse in sogno: “Armando, basta così!”.
ARTE E CARRIERA
Come la mostra Tutti gli “ismi” di Armando Testa ampiamente illustra, il percorso professionale del “padre della pubblicità italiana”, di cui si compie quest’anno il centenario della nascita, fu sempre accompagnato da una fertile attività artistica. Gli Anni Cinquanta e Sessanta in primis, segnati da collaborazioni importanti ‒ Asti Gancia, Riccadonna, Facis, Carpano (Punt e Mes), Pirelli, AEM, Antonetto, Lavazza, Galbani, Lines, Philco, Perugina ‒videro anche gli esordi di Testa come artista: si ispirava a Mondrian e Malević per i suoi quadri su formica, racchiusi in cornici d’epoca. Mentre per le opere che ebbero come leitmotiv la rappresentazione delle dita della mano l’ispirazione venne da Surrealismo e Pop Art: feticcio, simbolo onirico, o ricordo delle ore trascorse in tipografia a comporre con agili dita i caratteri a piombo?
Nel contempo la sua produzione di immagini grafiche e fotografiche, di filmati e di icone tridimensionali (per la cartellonistica, i giornali, la televisione e gli spazi pubblici) sempre si alimentava d’arte, sovvertendone certo, attraverso vari giochi combinatori, equilibri e valori consolidati. L’arte, dunque, come cultura di massa, per parlare alla gente, e, d’altra parte, l’arte anche come cartina tornasole per saggiare dove andasse il gusto contemporaneo. Astrattismo,
Surrealismo, Informale, Pop Art, Neo-Espressionismo, Concettualismo: Arte, sempre studiata e amata, ma mai collezionata, bensì inseguita alle grandi mostre internazionali, e grazie ai cataloghi che ne erano corredo. La moglie Gemma De Angelis Testa ricorda: “Prendevamo l’aereo per vedere una mostra a New York e poi si tornava a casa. La nostra abitazione sembrava un acquario, solo pareti di vetro. Non c’era spazio per i quadri. Certo Armando amava Picasso, Andy Warhol, Bruce Nauman, Robert Gober o Jean-Michel Basquiat, ma nessuna opera veniva da lui acquistata”. “‘Fai grande il segno, non c’è differenza tra arte e pubblicità’, amava ripetere”, ricorda ancora la moglie, che gli fu accanto dalla metà degli Anni Settanta fino alla sua scomparsa, nel 1992.
GEOMETRIA E OLTRE
E Armando Testa continuava ad amare la geometria: “La sfera è una delle forme più belle, come anche il triangolo, e la croce”. Ecco in mostra a Rovereto il suo mondo immaginario ricostruito secondo un percorso cronologico dominato dall’iconico Punt e Mes, composto di sfera e semisfera scarlatte, translitterazione tridimensionale dell’arcinota alchimia del punto di amaro e mezzo di dolce presente nella bevanda prodotta dall’azienda Carpano fin dall’Ottocento. E di geometria si tratta a proposito di altri capolavori di Testa: i coni ricavati da fogli di carta che costituiscono i corpi di Caballero e Carmencita, personaggi creati per il caffè Paulista di Lavazza, o la sfera di Papalla, il pupazzo ideato per Philco in cui si esprime compiutamente la formula tipica del grande pubblicitario: “Un minimo di segni per raggiungere il massimo della emozioni”.
Poi, degli Anni Ottanta, le sue arcimboldesche e surreali composizioni in cui animali e cibi giocano un ruolo molto significativo, precorrendo le future campagne pubblicitarie di successo portate a compimento dall’agenzia Armando Testa, in cui confluì nel ’78, dopo ventidue anni di vita, lo Studio Testa. Che dire ancora di lui? Pittore, scultore, architetto (ridisegnò in forme dechirichiane la sede dell’Agenzia a Torino, in via Luisa del Carretto), giornalista (Dalla parte di chi guarda fu il titolo della rubrica da lui firmata su Il Giornale
dell’Arte), cinefilo e regista (il filmato-nonsense che presenta un “treno umano” girato per Wafer Saiwa nel ’66, e ispirato ‒ forse ‒, a detta di Testa stesso, da John Cage), fu essenzialmente uomo di marketing (ma senza darlo troppo a vedere), e audace anticipatore di realtà e tendenze contemporanee. Anche se, purtroppo, oggi Carosello non esiste più, e non tutti lo possono ricordare.
‒ Alessandra Quattordio
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