Storie di pixel e cristallo. Fiorindi e Floriani a Venezia
Veniceinabottle, Venezia ‒ fino al 3 settembre 2017. Due artisti interpretano la materia degli specchi veneziani in chiave contemporanea. Mescolando richiami sexy a tecniche tradizionali, senza dimenticare un tocco di kitsch.
“C’è stato un tempo, quando la città era accorta e saggia, il tempo in cui l’arte già allora antica e preziosa del soffiare il vetro, arte giunta in Laguna dal ricco Medio Oriente […], quella sapienza di tecnica e creatività che trasforma l’umano in divino permettendo il miracolo alchemico di tramutare la sabbia in aerea essenza di colore, l’arte del vetro, occupava gente e luoghi con grande beneficio delle casse del Tesoro, oltreché, ben si intende, della fama della Repubblica di San Marco. Le poderose officine dai crogioli ribollenti di magma, residenze terrene di porzioni di sole, affocate concentrazioni di materia docile allo spirito creatore del maestro soffiatore, raccoglievano maestranze a migliaia”.
L’incipit del capitolo Murano, tratto dal libro Lagunario, emozionale racconto storico-geografico intriso di fantasia e sapere che la scrittrice veneziana Isabella Panfido dedica alla sua città, offre un interessante spunto di riflessione su questa antica attività, tanto nota quanto poco conosciuta, qual è l’arte vetraria veneziana. La bellezza, il fascino e la singolarità del vetro pregiato prodotto dalle “officine” muranesi, un tempo destinato alle lussuose corti europee, è frutto, ora come allora, dell’indissolubile connubio fra l’abilità dei maestri soffiatori e la bravura degli artisti ideatori.
È probabile che l’arte del vetro oggigiorno non arrechi “grande beneficio alle casse del Tesoro”, in una città forse non più così “accorta e saggia”, ma quel cortocircuito creativo, anche a distanza di secoli, può accadere ancora, e quando accade dà vita al famoso “miracolo alchemico” a beneficio di quanti hanno occhi per ammirarlo.
Ed è così per la mostra Lemon in my Eyes, con protagonisti Giada Fiorindi e Federico Floriani.
LA MOSTRA
Ha il gusto dolceamaro l’allestimento, “effetto boudoir” in salsa contemporanea, delle specchiere trasformate in opere scultoree. E mentre i disegni manga, dalle linee pudicamente erotiche, incisi negli specchi ‒ realizzati entrambi con tecniche incisorie e costruttive tradizionali ‒ contrastano volutamente con i decori baroccheggianti e rococò che li adornano, “stucchevolmente” kitsch appare la ricercatezza coloristica delle cornici degli specchi e dei drappeggi che ricoprono la stanza.
Unico contrappunto aspro alla bella, dolce mostra veneziana, è offerto dai gialli limoni disseminati a terra, che solo visibilmente, ma molto verosimilmente pregustiamo.
‒ Adriana Scalise
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