Gioielli dal Nord. Sei artisti svedesi a Venezia
Il Museo di Palazzo Mocenigo, a Venezia, fa da cornice a un intrigante focus sulla gioielleria nordica, interpretata in chiave contemporanea da sei artisti svedesi. Fra retaggi antichi e contemporaneità.
Autori di gioielleria d’avanguardia poco noti in Italia, ma tutti ben rappresentati presso il Museo Nazionale di Stoccolma, sono stati chiamati a Venezia dalla storica dell’arte Inger Wastberg a far parte della mostra Transformation. Sei artisti svedesi, allestita al Museo di Palazzo Mocenigo: Agnes Larsson, Catarina Hällzon, Hanna Hedman, Märta Mattsson, Sara Borgegård Älgå e Tobias Alm.
Vengono tutti dalla Svezia e portano con sé il profumo di luoghi selvaggi e affascinanti, ricchi di una tradizione culturale antichissima che si perpetua oggi spingendo alle estreme conseguenze ricerche fiorite in Svezia agli albori del XX secolo nel campo del design industriale e dell’arte.
Basti, a questo proposito, il nome di Vivianna Torun, artista e designer che da Stoccolma portò il suo messaggio di eleganza in tutta Europa fino a diventare, negli anni del secondo dopoguerra, una delle più note firme dell’azienda George Jensen di Copenaghen. L’argento, che Vivianna amava accostare a pietre chiarissime come la pietra di luna in soluzioni formali essenziali, anticipatrici delle tendenze più avanzate del design oggi up-to-date, rivive, a esempio, nelle creazioni di tutt’altra specie firmate da Catarina Hällzon (Örebro, 1976) che all’algido metallo usa accostare la pelle e le squame di pesce al fine di sottolineare come le ricchezze ittiche, grazie alle quali il suo Paese prospera, non debbano andare disperse nel loro valore simbolico, anzi debbano essere celebrate attraverso oggetti da esibire sul corpo come omaggio alle proprie origini e all’anima delle terre artiche.
MONILI E NATURA
Anche Hanna Hedman (Stoccolma, 1980) fa uso dell’argento, però lo trasforma in fini ma drammatiche “trine” che alla natura animale e vegetale in via di estinzione guardano come primaria fonte d’ispirazione. Le sue collane e le sue spille paiono uccelli irrigiditi, dalle ali arruffate di piume cangianti, o irti cespugli di rovi, come in una fiaba nordica.
Märta Mattsson (Stoccolma, 1982) pone il metallo sacro alla Luna a sostegno di altri materiali (resine, legno, lacca, pietre) nella composizione di monili modellati in forma di insetti. Farfalle, cicale e scarabei, variopinti quanto inquietanti, sono i leitmotiv di Wunderkammer affollate di creature familiari, metamorfizzate in apparizione onirica. Ferro e corda sono invece gli ingredienti introdotti nelle sue collane da Sara Borgegård Älgå (Stoccolma, 1980) per evocare mondi meccanici e paesaggi artificiali. Gli elementi compositivi geometrici – simili a edifici, ponti, vagoni ferroviari, container appena abbozzati e miniaturizzati – si alimentano di colorazioni vivaci che conferiscono forza ai volumi grazie alla loro natura di vernici protettive di produzione industriale.
Tra primordio e Terzo Millennio si muove invece Agnes Larsson (Stoccolma, 1980), che usa carbone, crine di cavallo e alluminio per dar vita a macrocollane apotropaiche dal sapore totemico e tribale. Appartengono infatti a una sorta di archeologia del futuro e, non a caso, il loro titolo, Remains, allude alla loro condizione di vestigia sì di tempi remoti, ma oggi ritornate alla vita con prepotente protagonismo, sia dal punto di vista dimensionale che materico.
PASSATO E PRESENTE
Infine, ecco la personalità maschile della mostra veneziana: Tobias Alm (Stoccolma, 1985), creatore di gioielli-oggetto con cui ama rievocare le antiche châtelaines (ovvero i sostegni preziosi di piccoli attrezzi quotidiani indossati abitualmente alla cintura tra XVIII e XIX secolo) per inventare nuovi accessori adatti all’uomo contemporaneo. Nelle sue opere cuoio, argento dorato, acciaio, velluto, nylon si alleano per dar corpo a dissacratori reggi-torcia, ganci porta-strumenti o borsini multitask. Sono gioielli? Con ogni probabilità, no. C’è nell’artista una sorta di colta provocazione? Sicuramente sì, quanto a ribaltamento eversivo in chiave contemporanea di retaggi storici. In nome dell’arte del riciclo, ma non solo.
‒ Alessandra Quattordio
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