Il tempo depositato di Nicola Samorì. A Pesaro
Centro Arti Visive Pescheria, Pesaro – fino al 1° ottobre 2017. Di solito Nicola Samorì non reagisce agli spazi in cui espone, è più interessato a ciò che si crea sul cavalletto o intorno a un cumulo di materia; ma la mostra di Pesaro, dal titolo “La candela per far luce deve consumarsi”, ha determinato uno scarto nella sua attività: la Pescheria è un luogo che stimola visioni, e un luogo diventa importante quando modifica le prospettive di lavoro di un artista.
È una mostra che racconta del tempo che passa quella di Nicola Samorì (Forlì, 1977) al Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro. Un tempo generatore di accidenti che si depositano su un paesaggio interiore il quale non può che dialogare con la storia dell’arte, in un confronto tra caso e cultura in cui si consuma ogni prospettiva del quotidiano. Un tempo al passato, che lascia poco spazio al futuro. Pittura e scultura ferite, in cui si scava alla ricerca di un qualcosa che non si può più afferrare: condizione esistenziale quotidiana di una generazione priva di speranza e che ha perso la capacità di una visione futura.
TRA CASO E CULTURA
Per l’artista, la cui poetica consiste nel confronto tra caso e cultura, è stata determinante la possibilità di dialogare con il patrimonio artistico museale della città. Un progetto non scontato, a cura del critico Marcello Smarrelli, in cui Samorì si è potuto servire, come materia prima, dell’arte del territorio per trovare qualcosa di non calcolato, nel tentativo di addomesticarlo attraverso il suo lavoro. Come nel caso del frammento di un dipinto del pittore bolognese del Settecento Giuseppe Maria Crespi, perduto nel crollo del palazzo che lo conservava e ritrovato danneggiato, con la pittura che lasciava scoperto il supporto in rame: elementi, questi, che appartengono alla cifra stilistica dell’artista contemporaneo. O nel caso dell’utilizzo della cornice napoletana del Seicento, sempre ritrovata nei depositi museali, che attornia una pittura in rame di Samorì. O dell’alternanza delle marine, 26 metri di mare dipinto tra il Seicento e oggi, che non fanno capire esattamente cosa sia antico e cosa contemporaneo, perché sostanzialmente, davanti agli occhi dell’uomo, la pittura non cambia, ma è la cultura a differenziarla nel tempo.
UN TEMPO CHE LEVIGA
Non c’è intenzione di denunciare un inganno, in Samorì, ma la consapevolezza del tempo che leviga le cose. E così nella Pescheria, oltre alle marine poste all’altezza dell’orizzonte, permane l’idea dell’acqua che continua a scorrere e trasformare, e la fontana dialoga, in ritmo verticale, con le colonne del porticato, con la presenza massiccia di sculture lignee rielaborate da tronchi trovati sulla spiaggia e plasmati dall’acqua del mare, in cui l’artista ha guardato oltre alla naturale bellezza per riannodarsi ai tormenti espressi dalla materia scultorea del passato, con riferimenti alla scultura gotica tedesca mangiata dai tarli; alle crocifissioni consumate dal tempo, in cui la nodosità del legno si intreccia con il dolore nodoso dei particolari di mani e piedi degli antichi maestri; alla consunzione silenziosa dei ceri nelle chiese, nella convinzione che, come afferma il curatore della mostra, le epoche artistiche sono vasi comunicanti e, come in questo caso, vale la pena farle parlare.
– Annalisa Filonzi
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