Il nuovo Kosovo passa per Autostrada Biennale
“Autostrada Biennale, in un Paese che ha un’intelligenza post traumatica, è un concetto, un'esperienza che va al di là del luogo specifico, è una ricerca inedita nel contemporaneo con il tessuto cittadino che diventa luogo di ricerca, sperimentazione e rivitalizzazione”, dice Sislej Xhafa, autore del Padiglione del Kosovo ancora visibile alla Biennale di Venezia 2017. “Qui l'arte contemporanea è questione di inclusione, i luoghi privati diventano spazi espositivi, la cittadinanza lontana dagli ingranaggi dell’arte diventa protagonista, e interagisce con le opere”.
Si parte dal nome e dal paesaggio, perché già il viaggio verso Prizren è un’esperienza spirituale. Autostrada Biennale è una missione, un manifesto che si distingue nella proliferazione delle biennali sotto ogni fuso orario. Guarda idealmente a Istanbul e Venezia solo per le prossimità della storia, i rimandi che connettono Oriente e Occidente, e per coltivare una propria dimensione di ponte dentro e oltre i Balcani. Con un’interpretazione realmente contemporanea della high way come infrastruttura di connessione e relazione, un concetto reso evidente dal logo della manifestazione che non sceglie la linea ma i ponti, gli attraversamenti, la prospettiva.
Per arrivare a Prizren si percorre la Rruga e Kombit ‒ la strada della Nazione che collega l’Albania al Kosovo: una natura stupefacente ma non ammiccante, l’ardire delle nuove infrastrutture con viadotti ponti e strapiombi che ridisegnano un paesaggio vertiginoso e incontaminato con invasi, sbancamenti, fiumi che si fanno autostrade liquide e parallele. A destra e sinistra contrappunti che sono installazioni, modernissime stazioni di servizio, reperti e rovine di archeologia industriale, transumanze dentro una natura severa e non addomesticata, grandi opere che preparano un futuro di connessioni, programmi di elaborazione e inclusione. Il lungo attraversamento porta a uno dei Paesi più misteriosi e feriti dei Balcani, una Repubblica che esce da un passato devastante e devastato con l’energia di una popolazione giovane, appassionata e multiculturale.
VIAGGIO E CONOSCENZA
Autostrada Biennale è una promessa di recycle culturale, una utopian factory, nel suo nome c’è la legacy dei significati stratificati che rimandano al viaggio e alla conoscenza, nel suo tematismo dedicato a The future of Borders c’è l’incessante movimento dei pensieri e delle cose, le zone d’ombra e l’impeto di una nazione che progetta il futuro con la cultura e l’emancipazione sociale. La prima edizione guidata da Manray Hsu si sviluppa su una frontiera di rigore, qualità, pertinenze progettuali e poetiche, connessioni accurate tra la grande storia e le vicende dell’area. Per questo il format presenta un apparato espositivo diffuso ma anche talk e keynote puntuali, che affrontano le tematiche legate all’idea di confine in ordine alla geopolitica internazionale, agli assi strategici di sviluppo dei Balcani, alle eredità che allargano e limitano le questioni dell’accesso. Il board internazionale – Sislej Xhafa, Iara Boubnova, Sezgin Boynik, Juan Gaitan, Miran Mohar, Borut Vogelnik, Edi Muka, Yehuda Emmanuel Safran – il team curatoriale e l’organizzazione attingono da un network di relazioni in area balcanica e internazionale, e i trentasei lavori – molti dei quali committenze site specific – sono distribuiti su più sedi che rimandano a diverse idee di rovina, heritage e comunità, compreso lo storico hammam per i talk, il museo archeologico e la centrale.
I LUOGHI E GLI ARTISTI
La stazione degli autobus, un luogo simbolo per vicende sociali ed eterogeneità degli spazi, dalle sale d’attesa ai parcheggi alle aree di comunicazione e transito: qui i dialoghi e i rimbalzi tra le opere sono serrati – dalla facciata su cui campeggia il messaggio multilingue Your country doesn’t exist di Libia Casto & Ólafur Ólafsson, al rilascio dei passaporti dell’immaginario NSK di Irwin, alle immagini di 26 edifici di confine nell’iconografia classica di Alban Muja in un severo b/n; dal salone superiore adibito a wedding room con la scritta elegant, dove coabitano la performance Waaterfalls di Alekta Xhafa Mripa sul tavolo da biliardo con la raffinata opera/ricerca di Ettore Favini che ha ideato un collettive artwork, Kosovar Simbolism, un questionario che diventerà tessitura e tappeto con i dati raccolti dalla partecipazione dei visitatori, un esercizio sull’identità futura del Kosovo.
Il castello che domina la città, un articolato sistema di camminamenti, stanze e anfratti usato per la prima volta per il contemporaneo, una sorpresa per la folla di visitatori che sale a vedere il panorama: lì si incrociano confini e linguaggi nell’installazione sonora How corals think? di Yannick Dauby, nelle ricerche socio-antropologiche di Valentina Bonizzi, nel cubo specchiante di Jelena Tomasevic che accoglie, include e moltiplica un paesaggio umano e storico in continuo mutamento. Le case, una terza dimensione spaziale e progettuale, l’ambito intimo toccato e violato dalla storia, creano nelle varie situazioni urbane nuova accoglienza, attraverso i corti di Stefano Romano, le fotografie di Yan Shung Fa, i quadri intensi e commoventi di Sead Kazanxhiu. Intanto in città, accanto alla moschea e ai minareti, troneggia Think Big di OPA, l’ironico monumento a Donald Trump classificato come nuovo tipo di leader. Intorno e sullo sfondo traffico, camionette dei contingenti internazionali, una babele di lingue e suoni. Capitale culturale si diventa.
‒ Cristiana Colli
Prizren // fino al 23 settembre 2017
Autostrada Biennale
SEDI VARIE
http://autostradabiennale.org
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