Riflessi e incisioni. Lorenzo Ostuni a Roma
Villa Torlonia, Roma ‒ fino al 24 settembre 2017. Nella ricerca di Lorenzo Ostuni confluiscono dettami rinascimentali e input contemporanei. Grazie a una tecnica che sfida la fragilità.
“Un uomo del Rinascimento vissuto nel XX secolo”, lo ha definito Claudio Strinati nella prefazione al catalogo della originalissima mostra a lui dedicata negli spazi museali di Villa Torlonia. Stiamo parlando di Lorenzo Ostuni (Tito, 1938 – Roma, 2013) ‒ artista, drammaturgo, intellettuale, poeta, autore e produttore televisivo ‒ e del suo lavoro sperimentale di incisione sugli specchi cui ha dedicato gli ultimi trent’anni della propria attività creativa. Ne ha realizzati oltre trecento e, di questi, un quarantina sono stati distribuiti, a sollecitare la curiosità del pubblico, nelle sale del Casino dei Principi. Certo gli ingredienti più speziati dell’humus umanistico-rinascimentale in questa mostra ci sono tutti: astrologia, cabala, alchimia, pitagorismo, simbolismo magico-ermetico attinto da svariate tradizioni sapienziali. Insomma quel coacervo di conoscenze giunte, spesso confusamente, fino a noi e che oggi rientrano nella fantasiosa categoria, usata e abusata fino al ridicolo, di esoterismo.
LA CAVERNA DI PLATONE
Nel suo studio-laboratorio-museo in Via degli Scipioni ‒ nel Rione Prati ‒ che chiamò La Caverna di Platone, Ostuni riceveva Albertazzi, Angelopoulos, Gassman e soprattutto Fellini, con cui strinse una ventennale amicizia. E fu proprio Fellini a dargli l’abbrivio sottoponendogli, durante un colloquio, un passo alquanto enigmatico del Tao Te Ching: “Il Tao è quella cosa che specchia se stessa mentre specchia l’altro”. Da qui ebbe inizio la storia degli specchi pazientemente e delicatamente istoriati con un trapano elettrico a punta di diamante che ci ha condotti oggi a Villa Torlonia. Da Michelangelo Pistoletto ad Anish Kapoor a Owen Morrel, l’arte contemporanea frequenta con esiti suggestivi, anche se con parsimonia, l’antica arte catottrica.
FRAGILITÀ ALLO SPECCHIO
Però Ostuni compì un atto pionieristico quando, negli Anni Settanta, decise di scolpire la superficie specchiante sfidandone la fragilità, intaccandone l’effimera consistenza. Con un intento, in verità, che volentieri trascendeva l’aspetto puramente artistico – eclettismo rinascimentale? ‒ sconfinando nell’elaborazione di complesse tecniche “teatrali” di indagine psichica. Le sale dell’esposizione, immerse in una necessaria penombra, si affollano di immagini indefinitamente rinviate dagli specchi “impuri” di Ostuni, immagini immancabilmente maculate da un glifo, da un’allegoria mitologica, da un volto scolpito nella luce riflessa. Un inconsueto, straniante, aleatorio teatro dell’effimero ove tutto è costellato dai segni impermanenti di un ancestrale universo simbolico.
‒ Luigi Capano
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