Spazio, materia e colore. Alfredo Pirri a Roma
Macro, Roma ‒ fino al 3 settembre 2017. Fra interrogativi aperti sul mondo e contrasti visivi, il museo capitolino ospita la prima mostra antologica dedicata ad Alfredo Pirri.
Attraverso cinquanta opere tra le più rappresentative, la mostra allestita al Macro Testaccio di Roma evoca le fasi salienti della ricerca di Alfredo Pirri (Cosenza, 1957) a partire dagli Anni Ottanta. In una perfetta ed efficace sintesi tra spazio simbolico, narrativo e spazio reale. Dove la dimensione estetica mutevole, porosa e vibratile, intesa come ritmo esistenziale, scandisce l’armonico alternarsi di elementi in costante tensione trasformandosi, per il visitatore, anche in esperienza sensibile ed emotiva.
I pesci non portano fucili (citazione da The Divine Invasion di Philip K. Dick, 1981), che titola la mostra, è l’immagine visionaria di una “società disarmata e fluida come il mare aperto”. Un invito, quello di Pirri, a immergerci in una sorta di “architettura liquida” ‒ per dirla con le parole di Marcos Novak ‒, una città che sembra respirare e pulsare. Che si apre per accoglierci, luogo di solitudine ma anche d’incontro e di condivisione; che offre nuovi spunti per interrogarci e interrogare il mondo, scoprendo una rete di connessioni altrimenti invisibili.
SPAZIO E TECNICA
È concepito come uno spazio urbano, quello in cui ci stiamo muovendo, che manifesta il tenace vincolo tra etica ed estetica quale conditio sine qua non dell’esperienza artistica, ipotizzando lo spazio della città come elemento imprescindibile del nostro essere abitatori del pianeta (l’ethos heideggeriano). L’artista è intervenuto sull’intero padiglione del Macro Testaccio ‒ un ambiente unico ‒, ricavando più stanze e passaggi grazie all’utilizzo di strutture che scandiscono il percorso. Come quinte o schermi, assemblati da elementi metallici verticali sui quali insistono pannelli rettangolari in legno e cemento, dando così vita a un contrasto cromatico che dialoga con i piani di fondo e che finisce per infondere richiami e assonanze a tutte le sue parti, quasi fosse un organismo solo.
Ed eccoci a scivolare nell’azzurro di file e file di fotografie disposte sulle pareti, dal pavimento al soffitto. È l’installazione Quello che avanza (2017), composta da 144 fotografie, frutto di mesi di ricerca nel laboratorio allestito alla Nomas Foundation. L’opera rivela il forte interesse di Pirri per la tecnica, qui rivolto alla cianotipia, antico processo fotografico dove la stampa si caratterizza per le intense varianti di blu. Una composizione dalla griglia geometrica e modulare, all’interno della quale fiorisce una selva di segni, quasi organismi acquatici semitrasparenti che richiamano il lavoro di Anna Atkins, biologa e prima fotografa della storia, autrice di un libro (1843) di cianotipie sulle alghe marine. Sono rappresentazioni residuali che tendono a svelare la natura effimera del tempo e della memoria, l’alterazione e il decadimento ai quali è soggetta la stessa immagine.
MATERIA, LUCE, COLORE
Da qui attraversiamo Cure, la struttura in legno dipinto realizzata per la 43sima Biennale di Venezia e, ancora, la leggerezza delle piume di Arie (2014), dove protagonista è il fluire cromatico sul materiale indefinito. La Stanza di Penna, del 1999, è come una cittadella costituita di cartoni a forma di libri colorati che irradiano luce. Perché lo spazio non è solo forma, è anche materia, colore e soprattutto luce, componente essenziale della poetica dell’artista. Ecco allora l’emblematico pavimento di specchi (Passi) e Verso N (2003), installazione in cui i tasselli costruiscono quasi un orizzonte immaginario, un paesaggio dello spirito; l’esaltazione dell’elemento luminoso nella materia pittorica sembra qui dilatarsi nell’ambiente fino a plasmarlo. “Lo spazio architettonico si trasforma così in supporto-tela su cui Pirri “dipinge” vuoti e pieni, luci e ombre, in una meditata metamorfosi che ne esalta i valori cromatici, concettuali e simbolici” (Benedetta Carpi de Resmini).
‒ Lori Adragna
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