Philip Guston e gli antichi maestri. In mostra a Venezia
Gallerie dell’Accademia, Venezia – fino al 3 settembre 2017. La retrospettiva ospitata al museo veneziano diventa occasione per confrontarsi con l’indipendenza di un artista che ha sviluppato la sua intera carriera lungo un cinquantennio. Tra figurazione post-picassiana, action painting e immagini dei cartoon.
Passeggiando tra le opere di Philip Guston (Montréal, 1913 – Woodstock, 1980) ospitate nelle sale al piano terra delle Gallerie dell’Accademia, l’impressione è quella di uno spaesamento temporale che mette in crisi le categorie storico-artistiche tradizionali. Un artista che comincia guardando al passato, alle forme e all’etica della tradizione umanistica italiana, che negli Anni Cinquanta si trova nel posto giusto al momento giusto assieme ai colleghi della New York School, perfettamente inserito nella contemporaneità dell’Espressionismo astratto, e che infine dal 1970 dopo la personale alla Marlborough Gallery di New York, non si sa più dove situare: se in ritardo di mezzo secolo rispetto agli impulsi incontrollati dell’Espressionismo europeo o in anticipo di un decennio su quel recupero della figurazione (più furbo e interessato) che caratterizzerà la postmodernità degli Anni Ottanta.
MAESTRI PITTORI E POETI
Disquisizioni che forse lasciano il tempo che trovano di fronte alla forza espressiva di un pittore che, proprio al di là delle categorie e delle astuzie, ha seguito la propria strada con cocciutaggine contro ogni arrivismo professionale. L’impressione è comunque quella di un ospite scomodo che, nonostante i suggestivi richiami ai “grandi maestri”, con intelligenti accostamenti a dipinti di Masaccio e Bellini, e nonostante il tributo esplicito alla tradizione italiana di Pantheon del 1973, rovescia nelle sale dell’Accademia un denso e affascinante universo di ossessioni, sgraziato nella potente forza espressiva e coinvolgente nell’estrema onestà dell’artista.
Anche i puntuali riferimenti letterari ai poeti del Novecento che in varie maniere si sono intrecciati al lavoro di Guston (Lawrence, Yeats, Stevens, Montale e Eliot) accompagnano la mostra come un basso continuo, emergendo di tanto in tanto, ma spesso sommersi dall’accumulazione di occhi, mani, piedi, scarpe, sigarette, orologi e personaggi del KKK che diventano icone di un immaginario esistenzialista, allucinato e nottambulo, tipico dell’artista.
UN PITTORE A-NORMALE
La necessità dell’accostamento alla grande tradizione artistica o il riferirsi alla più rarefatta arte poetica non riescono comunque a normalizzare un artista che brilla ancora oggi per autonomia e indifferenza rispetto a schemi posti dall’esterno.
Così i suoi lavori espressionisti-astratti sanguigni e truculenti o i rosa carnali della sua tarda pittura figurativa dimostrano con quanta consapevolezza l’autore concepisca il rispetto per i maestri non nella banale riproduzione di uno stile ormai irrecuperabile, ma in uno slancio doloroso e incosciente verso territori sconosciuti. Dove si avverte chiaramente anche l’inquietudine dell’uomo e dell’artista di fronte a una realtà – quella statunitense degli Anni Sessanta e Settanta – difficile da comprendere e modificare.
– Gabriele Salvaterra
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